C’era un cartellone in Piazza del Popolo a Roma con scritto “Rimarrai per sempre il caro Jack”. Citava il nuovo singolo di Alessio Bernabei, Ti ricordi di me?.
Per Alessio Bernabei Jack è un idolo, lo è sin da quando era bambino. Jack è un tatuaggio sul suo polso, Jack è un nome che ha radici nel passato ed è costantemente presente.
Jack è anche l’inizio di un sogno, che continua ancora adesso. Jack ora prova a spiegare che cambiare rotta non significa né rinnegare il passato né rimpiangerlo perché “a volte la vita è più bella” e per Alessio Bernabei una di quelle volte è sicuramente oggi.
Se accantoniamo l’ “inglese” e pensiamo solo ed esclusivamente a Jack Skeletron, l’eroe di Alessio Bernabei, il rimanere per sempre il “caro Jack” è sinonimo del voler conservare una serie di sensazioni che nella frenesia di questa vita potrebbero passare spesso in secondo piano.
Il “caro Jack” forse vuole dirci che Alessio Bernabei è legato alle sue origini al punto da non rinnegarle assolutamente e, al contrario, da rimarcare un senso di vicinanza all’Alessio Bernabei bambino e adolescente che strimpellava qualche cover in cameretta quando a fare da sfondo c’era solo quel copriletto blu a quadri d’altri tempi. Di fronte a sé una manciata di adesivi che significavano avere fiducia nel futuro, sognare in grande, crederci, testimoni involontari delle prime esibizioni di Alessio Bernabei dinanzi al folto (ed invisibile) pubblico del migliore stadio del mondo raccolto tutto in camera sua.
Jack Skeletron è un re, il re delle zucche, ma non gli basta: vuole di più, vuole un mondo più bello, vuole una vita diversa. Vuole fare di testa sua, vuole essere il re del Natale ed è disposto anche a far rapire Babbo Natale pur di prendere il suo posto. Non c’è Sally che tenga: nessuno potrà mai convincere Jack ad abbandonare il sogno di diventare Babbo Natale per una notte vivendo in quel mondo incantato che un giorno, per caso, lo conquista al punto da spingerlo a rischiare tutto ciò che ha per i colori, per le luci ma più che altro per rompere la monotonia della sua vita.
Jack mette su un Natale macabro e consegna regali in stile Halloween che non vengono apprezzati dai bambini. Jack insiste e si muove spavaldo nel cielo a bordo della sua slitta improvvisata mentre gli sparano contro con l’intenzione di abbatterlo. Jack pensa che lo stiano festeggiando, vede fuochi d’artificio e si sposta per non farsi colpire. Non realizza ancora che in realtà si tratta di armi: lo vogliono fermare, lo vogliono uccidere.
Jack muore.
Jack muore senza accorgersene, in una normalità apparente che deriva dall’essere ormai abituato a schivare colpi. Non ha perso solo il Natale che avrebbe voluto portare ma anche se stesso, colpito da quel mondo in cui avrebbe voluto vivere serenamente facendo del bene agli abitanti e realizzando i propri sogni.
Chi salva Jack?
Jack si rialza e comprende in quel momento di aver sbagliato qualche valutazione di troppo. Ha perso il controllo, è entrato in un vortice più veloce di sé e non è stato in grado di analizzare la realtà in modo lucido, non è stato in grado di guardare la situazione da un altro punto di vista per cogliere il significato delle luci nel cielo: non erano fuochi d’artificio ma bombe minacciose pronte a colpirlo ad ogni occasione.
Jack va a liberare Babbo Natale, lo salva dal malvagio Bau Bau e riprende il suo percorso. Il Natale è anche neve e nel regno di Halloween da oggi nevica, ma Jack non sarà mai Babbo Natale.
Jack è un eroe fallibile, non infallibile. Jack è un eroe attuale che muore. Ma Jack ha anche il coraggio di accettare la realtà e porvi rimedio per poi tornare a vivere più di prima, tenendo stretti tra le mani i suoi sogni, pronto a realizzarli in modo diverso. Jack comprende gli errori commessi e ricomincia, con quel pizzico di follia che da sempre lo contraddistingue.
Jack non è solo questo. Jack è anche un nome legato al coraggio di mettere tutto in discussione.
Il coraggio di mettere tutto in discussione può derivare esclusivamente da un senso di vuoto incolmabile, inspiegabile per tanti versi, incomprensibile per chi non lo ha vissuto sulla propria pelle, per chi non lo ha sofferto.
Ti ricordi di me? è una storia che va raccontata, attacchi di panico inclusi. Va raccontata attraverso ogni singolo giorno di vita di Alessio Bernabei, da sua madre (“Mia madre mi dice sei un angelo”) alla gente (“la gente non ci crede mai”) e a Jack, dai giornali ai giornalai e ai giornalisti, quelli seri. E anche quelli meno seri.
Ai tempi di Noi siamo infinito e del lancio a Sanremo abbiamo parlato di Alessio Bernabei e del suo lato umano, prima che di quello artistico, anzi l’abbiamo fatto con qualche mese di anticipo. Si trovava a ricominciare da zero, con un fardello opprimente, e affrontava a testa alta questioni del passato e pregiudizi accumulati nel tempo. Oggi quel limbo lo ha condotto realmente ad una nuova vita e quel 15 giugno è la data in cui l’Alessio Bernabei all’apparenza sempre eccessivamente sicuro di sé ha ceduto il posto ad un ragazzo timoroso nei confronti del futuro, a tratti nostalgico ma solo dei bagni di folla.
Per accantonare quell’istante in cui tutto cambiò ci vorrà ancora qualche anno. Dopo un bel po’ di tempo, Ti ricordi di me? si apre con un emblematico ma eloquente “un essere umano più libero” in cui emerge la volontà di intraprendere un percorso nuovo, più costruttivo e profittevole, più sereno, che si discosti completamente da quello passato. C’è la volontà di prendere in mano la propria vita, di compiere un passo avanti, un altro, verso la libertà spesso agognata e oggi in via di conquista.
Al primo ascolto è proprio l’attacco iniziale a sorprendere, ancor prima di quella domanda che risuona come una speranza:
“Ti ricordi di me? Eh?”
Mi ricordo.
Li abbiamo davanti tutti i giorni i ragazzi che dopo qualche mese di grande successo pensano di aver raggiunto la stabilità, di aver instaurato quel rapporto di fiducia tale da proseguire in eterno. Ma la vita reale sbatte in continuazione porte in faccia.
E forse deriva da qui l’insicurezza incurabile di chi ha avuto tanto e poi ha perso qualcosa, di chi è stato sempre frainteso e giudicato per “sentito dire”, di chi si porta dietro un nome più pesante di se stesso, di chi fa del non fidarsi un’esigenza per l’autoconservazione. Abbatti il muro: non tutti ti vogliono fregare.
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Ti ricordi di me? è anche un voler ricordare le proprie origini ma solo per andare avanti con serenità. Rimpianti non ce ne sono e il passato ormai è un capitolo chiuso. Il caro Jack è cresciuto e quel periodo lo ricorda col sorriso, pronto a scrivere da ora in avanti le pagine più belle della sua carriera. Il segno resta e oggi non fa male perché “gli anni passano e le persone cambiano”, ma, di contro, “molti non ricordano”.
Ci sono cose che noi comuni mortali non capiremo mai. Tra queste, la paura di sparire. La paura che tutto ciò che ti è stato dato ti venga tolto all’improvviso.
La paura di morire.
Alessio Bernabei forse ce l’ha la paura di scomparire da un momento all’altro, anche se non lo ammetterà mai. Non sarebbe umano se non l’avesse.
Il timore di morire deriva dalla consapevolezza di lasciare su questa terra tutto ciò a cui si tiene. Un artista vero tiene alla sua musica più di ogni altra cosa al mondo ma poi si scontra con il business, con le classifiche continue, con la necessità di vendere, con l’ansia di non essere abbastanza, con la disaffezione.
Il percorso di un artista che dalla sua cameretta si trova sul palco dello stadio San Siro di Milano o nei palazzetti dopo bagni di folla da instore tour doppio platino ci lascia sempre estasiati. Li ammiriamo tutti quelli che dal nulla riescono ad emergere, a farsi notare in qualche modo, a smuovere le masse, a convincere persone a credere in loro.
Dall’altro lato però c’è l’incubo del “prossimo te”, la paura di non essere ancora insostituibile, di non avere ancora quel di più che porta 1, 10, 100, 1.000, 10.000, 100.000 persone a credere in te in modo incondizionato. Oppure c’è la paura di averlo dentro ma di non riuscire a comunicarlo. Qual è la formula del successo?
Alessio Bernabei porta con sé una valigia, chiusa, ricca di effetti personali e di esperienze che gli hanno stravolto la vita e che ci hanno restituito un Alessio Bernabei del tutto nuovo. Un Alessio Bernabei indiscutibilmente vero, per la prima volta.
Ha abbracciato persone, ha firmato autografi fino a sentire dolore alle mani, ha visto decine di migliaia di ragazzi salire e scendere da un palchetto per una firma su un CD, il suo. Si è visto il faccione incorniciato in un disco di platino e d’oro. Un giorno si è guardato intorno nel tempio della musica per eccellenza e ha visto 10.000 occhi sognanti lì pronti a seguire i suoi, 10.000 persone pronte a cantare con lui fino a superare la sua stessa voce, chiuse in un cuore gigante composto in una platea al completo.
Ad Alessio Bernabei, oggi, manca cantare insieme a loro, stare insieme a loro, ridere insieme a loro e piangere insieme a loro ma guarda al futuro con ottimismo e non vede l’ora di tornare sul palco, pronto a rimboccarsi le maniche e già a lavoro sul secondo album di inediti.
Jack è un mucchio d’ossa. Jack è fragile ma indossa il suo completo migliore, un cappello rosso da Babbo Natale ed è pronto a stravolgere il mondo con un pizzico di sana follia e con tanto coraggio.
A salvare Jack è un’entità fantasma che non lo lascia mai, che lo segue a distanza e gli guarda le spalle.
Zero salva Jack.
Ricompone il suo mucchio di ossa in frantumi e gli dona la possibilità di rialzarsi. Per ricominciare in grande, ma con la consapevolezza dei propri limiti.
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Una volta ho chiesto ad Alessio Bernabei: “Come ti vedi tra 10 anni?”.
Avrebbe potuto parlarmi di successo o di dischi di platino, avrebbe potuto sperare in un conto in banca a 9 zeri o in una villa enorme al centro della più bella città del mondo. Avrebbe potuto parlare di affetti, di viaggi, di trasferimenti. Mi ha parlato delle persone che vorrebbe ancora vedere sotto il suo palco.