Anche il giudizio di James Senese non è morbido sull’esito del concerto Pino è, il grande evento musicale che ha reso omaggio a Pino Daniele al San Paolo di Napoli lo scorso 7 giugno.
Tanti artisti sul palco ma pochi, anzi, pochissimi napoletani. Molti i brani stravolti soprattutto perché cantati da chi non ne conosceva la lingua, interpretati senza restituire (nonostante le buone intenzioni) l’intensità della poetica di Pino Daniele, col risultato di aver costruito sì un grande spettacolo televisivo con volti acchiappa-pubblico, ma incapace di riportare sul palco l’eredità del bluesman partenopeo come avrebbe meritato.
Il sassofonista che ha condiviso con Pino Daniele gli esordi con Napoli Centrale era sul palco insieme ai musicisti che hanno segnato la carriera del cantautore, ma fondamentalmente sono parsi un ornamento rispetto alla lunga carrellata di artisti che si sono alternati sul palco con performance dal risultato discutibile.
Senese ammette la sua delusione in un’intervista a Repubblica e la addebita tutta agli organizzatori e all’entourage del compianto amico e collega.
Per me c’è stata molta sofferenza: non sentire più quelle parole e quella voce che mi appartiene, che ci appartiene, mi ha fatto sentire fuori dal mondo. Anche se poi ce l’ho messa tutta per restare in equilibrio. Il napoletano lo può cantare solo un napoletano. Lì era allo sbando. Pino ha fatto cose egregie sui testi ma le sue canzoni cantate in quel modo non si capiscono più, anzi si capisce tutto al contrario. Siamo sempre comandati dai padroni, e di qui le conseguenze che ci tocca di sopportare: è tutta colpa loro.
Sulla marginalizzazione degli artisti partenopei (il primo brano interamente in napoletano cantato da un napoletano è stato Cammina Cammina, proposto da Massimo Ranieri oltre la mezzanotte), Senese non le manda a dire.
È sempre stato così, c’è molta invidia nel nostro ambiente e manca il rispetto per ciò che uno è veramente. Ma io credo che la cosa più importante fosse mettere sul palco il super-gruppo. Eravamo il cuore di Pino, fummo noi gli artefici del suo successo. Ok, hanno messo due band a disposizione degli artisti, saranno anche bravi ma non c’entravano nulla con la nostra musicalità, con il nostro linguaggio.
Addirittura, il musicista parla di isolamento di coloro che, invece, avrebbero dovuto essere i protagonisti dell’evento, perché i più legati a Pino e i più titolati ad esaltarne l’eredità.
Hanno fatto di tutto per non farci emergere ma non è semplice nasconderci: il problema, per loro, è che se anche suoniamo soltanto una nota, si sente, siamo lì, siamo il cuore di Napoli, d’ Europa direi: il nostro suono è talmente chiaro che usciamo sempre. Certo, Pino è Pino, ma c’ è anche James Senese, ci sono anche Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Enzo Avitabile, Enzo Gragnianiello, con un’ eredità molto forte sulla nostra cultura. Sì, quella sera ci hanno accarezzato, ci hanno blandito, ma io ho 73 anni e non mi sono mai fatto prendere in giro da nessuno. Sono stato al gioco, poi ho fatto la mia parte ed è venuta fuori.