Con La Linea Verticale il libro di Mattia Torre, che racconta l’autobiografica esperienza ospedaliera dello scrittore e regista, arriva su Rai3 uno dei titoli più sperimentali di questa stagione: per la prima volta la Rai produce un medical dramedy in 8 episodi da 25 minuti ciascuno, pensato appositamente per la terza rete.
La Linea Verticale è in onda in prima serata su Rai3 in 4 puntate dal 13 gennaio, ma interamente disponibile già dal 6 in streaming su Raiplay – come già sperimentato con la seconda stagione di Non Uccidere lo scorso anno – perché pensato per essere non solo un prodotto televisivo ma mediale in senso ampio.
Per formato, linguaggio e impianto narrativo si tratta indubbiamente di una novità assoluta in casa Rai, in primis perché inedito è il format da 25 minuti applicato ad una serie che non appartiene al genere sit-com, poi per l’impianto scenico teatrale in cui si sviluppa il racconto (tutto ambientato in un indefinito ospedale), infine per la mescolanza di registri che vanno dal comico al tragico passando per il surreale che informa l’intera serie e talvolta le singole scene con un’alternanza rapida e costante. Inoltre, la serie è interamente girata in 4K presso gli studi Rai di Napoli.
Con un cast corale e ricco di eccellenze, a partire dal protagonista Valerio Mastandrea, passando per Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Greta Scarano e molti altri, lo sceneggiatore di Boris ha voluto mettere in scena un progetto inizialmente pensato per il teatro, poi diventato una miniserie di genere medico che però incrocia tanti altri generi col tono tipicamente visionario e “beffardo” (come è stato giustamente definito in conferenza stampa) che caratterizza i suoi lavori. Chi ricorda Boris, troverà qualche traccia di quello stesso stile anche ne La Linea Verticale, nonostante il tema della malattia e del percorso che ciascun paziente affronta nella realtà ospedaliera sia ben più grave e drammatico.
Protagonista de La Linea Verticale è Luigi (Mastandrea) un quarantenne con moglie (Scarano), una figlia e un secondogenito in arrivo che scopre di avere un tumore e deve operarsi immediatamente: nel reparto di urologia oncologica di un ospedale pubblico scoprirà la variegata umanità che popola le corsie, dai medici agli infermieri passando per gli altri addetti ai lavori e i pazienti, ognuno con le proprie competenze, attitudini, umori e frustrazioni. Nel cast anche Babak Karimi, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Ninni Bruschetta, Antonio Catania, Cristina Pellegrino, Alvia Reale, Gianfelice Imparato, Federico Pacifici.
Presentando La Linea Verticale in conferenza stampa, Mattia Torre ha spiegato di essersi ispirato nel soggetto e nella sceneggiatura alla propria esperienza di paziente e di aver voluto in qualche modo rendere omaggio al medico che lo ha operato, un primario di grande esperienza che non assomiglia affatto al classico barone prepotente e distaccato che un po’ appartiene al immaginario collettivo del paese: la serie è un omaggio a lui ma è anche un modo per mostrare l’ambiente medico in modo differente dagli stereotipi comuni.
Quando sono precipitato in questo mondo, l’ultimo pensiero era quello di raccontarlo, ma mi sono ritrovato a vivere il microuniverso dell’ospedale che ho trovato potente e sorprendente e molto diverso da come uno lo potrebbe immaginare dall’esterno: quello che mi esalta di più della scrittura è proprio raccontare qualcosa che immaginiamo in un modo e che invece è radicalmente diverso. In questo reparto oncologico che è chiaramente un luogo di sofferenza ma è anche straordinariamente vitale, dove per paradosso la malattia non è così presente, si instaura un regime solidale, persino a tratti comico, divertente, umano, vitale. Contrariamente alla malasanità spesso raccontata che pure esiste, qui c’è l’edificante e sorprendente eccellenza di un ospedale pubblico che ti salva la vita, capitanato da un chirurgo che per me è una figura mitologica, così appassionato, bravo, umano, simpatico: in questo paese sofferente e scassato in cui le posizioni di potere sono spesso ricoperte da persone che devono essere arroganti, supponenti e un po’ piene di sé, incontrare questo uomo così umano, così normale, aveva qualcosa di commovente. E la serie è scritta anche per lui. Chiaramente il mio taglio è molto personale e libero, non pretendo di raccontare la malattia che è sempre un’esperienza diversa.
Il titolo richiama il concetto di verticalità presente anche nelle scelte di regia e vuole rappresentare l’idea di “stare in piedi, rimanere vivi, aggrapparsi con tutte le forze alla vita e la malattia come crisi ma anche come occasione di crescita e riscatto“.
Valerio Mastandrea, amico di Torre col quale ha già lavorato in passato e di cui conosceva l’esperienza di vita con la malattia, ha sostenuto un provino per il ruolo del protagonista che i regista ha definito perfetto. Già diretto da Mattia Torre nella sit-com satirica Buttafuori nel 2006, stavolta si cimenta con la storia di paziente che lo sceneggiatore e regista ha vissuto sulla sua pelle.
Mi sono fatto scegliere, perché questa storia la conosco, l’ho vissuta anche se in maniera meno intensa di quanto l’abbia vissuta lui e l’idea di poter affrontare forse per la prima volta la serialità in un contesto protetto, dal punto di vista artistico sia di intenti comuni mi ha dato una certa sicurezza. Il lavoro di buttare fuori tutta la propria esperienza personale in una chiave trasversale e mai banale credo gli abbia fatto molto bene, a lui e anche a me. Il mestiere di attore lo possiamo usare per guardare la nostra vita in maniera più intensa e farci dare una mano dal nostro lavoro.
In conferenza stampa Mastandrea ha anche lanciato un appello alla dirigenza Rai per rifare Buttafuori:
Io farei Buttafuori tutta la vita, al prezzo della rata del mio mutuo che è bassissima. Io faccio questa proposta, lo faccio grati Coinvolgere Giallini (Marco, nda) forse è più difficile, ma lo dico a tutti: mandatelo quando vi pare, anche di notte ma io lo voglio fare, siamo tutti di quella famiglia lì.