Smetto quando voglio giunge alla conclusione con la terza puntata Ad honorem. Gli affezionati spettatori sanno già tutto, ne è conscio anche il regista Sydney Sibilia, che comincia senza preamboli e riassunto delle puntate precedenti, gettandoci immediatamente nell’azione e riprendendo dal punto esatto in cui si era concluso l’episodio Masterclass.
Quindi ritroviamo il fantomatico Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio), supercattivo che vuole causare una strage col gas nervino. Gli unici che possono fermarlo sono gli eroi della banda dei ricercatori, i quali però non se la passano troppo bene. Sono tutti chiusi in carceri diverse, per evitare contatti, col capo, il neurobiologo Pietro Zinni (Edoardo Leo), addirittura sottoposto a trattamento psichiatrico perché, appunto, vaneggia senza prova alcuna dell’esistenza di un fantomatico criminale pronto a scatenare l’apocalisse. Ma le “migliori menti in circolazione” – come continua a ripetere nel discorso motivazionale Pietro ai suoi – sapranno trovare una soluzione. E della partita stavolta farà parte anche l’ex arcinemico Murena (Neri Marcorè, il più iconico di tutti).
La saga di Smetto quando voglio, ideata da Sibilia e prodotta dalla Fandango in collaborazione con Matteo Rovere, ha rappresentato, non lo si dirà mai abbastanza, una boccata d’aria fresca nel nostro cinema. Un’apertura ai generi in chiave seriale in grande stile, con più di un occhio puntato sulle logiche narrative all’americana – anche produttive, vista la realizzazione in contemporanea di secondo e terzo episodio – ma sempre con un retrogusto inconfondibilmente italiano, data la cialtronaggine da commedia tipicamente nostrana del presunto gruppo di eroi. Sibilia e i suoi cosceneggiatori (Francesca Manieri e Luigi Di Capua dei Pills) gestiscono con cura la serialità del racconto, disseminando quasi con compiacimento piccole tracce che riannodano questo episodio ai precedenti.
Il film diverte, come sempre, accumulando citazioni e mostrando le proprie discendenze. E se resta la logica supereroistica fumettistica, dopo l’heist movie in Smetto quando voglio – Ad honorem fa capolino il modello dell’escape movie (la banda deve evadere da Rebibbia), con uno spirito che deve qualcosa al classico La grande fuga (l’apparizione del Murena, che riemerge da una cella d’isolamento come il leggendario Steve McQueen di quel film).
Riconosciuti i tanti pregi, Smetto quando voglio – Ad honorem lascia però la sensazione di un gioco forse tirato troppo per le lunghe. Il ritmo e l’azione un po’ latitano, perché ormai certe soluzioni diventano ripetitive – le competenze di ognuno raccontate come il potere d’un supereroe – e resta difficile la gestione d’un numero così alto di protagonisti (Pietro Sermonti, Stefano Fresi, Valerio Aprea, Lorenzo Lavia, Paolo Calabresi, Giampaolo Morelli, Libero De Rienzo, Marco Bonini), cui si aggiunge qualche new entry (il buffo direttore del carcere melomane interpretato da Peppe Barra).
Dovendosi accomiatare da personaggi tanto amati, il film tende a tratti a un tono quasi nostalgico e la storia perde qualcosa delle sue sulfuree premesse. D’altronde anche i ragazzacci di Smetto quando voglio, un episodio dopo l’altro, sono cresciuti. E debbono, come noi spettatori, fare i conti con responsabilità e rimpianti dell’età adulta.