La morte continua a regnare sovrana sui personaggi di Gomorra 3: nei primi tre episodi della nuova stagione, in anteprima al cinema in 300 sale il 14 e 15 novembre prima della messa in onda dal 17 novembre su Sky Atlantic HD, la serie continua a rappresentare con qualità e maestria quel territorio sospeso tra realtà e finzione in cui si incrociano le lotte tra i clan dell’area Nord di Napoli, ma anche le vicende della camorra esportata all’estero, quelle degli affari criminali internazionali e di una dimensione sempre più complessa e gigantesca del fenomeno criminale ormai non più ascrivibile ad un singolo contesto geografico o sociale.
“Gomorra interpreta la grammatica della violenza, ma anche del business e del profitto, che va da Scampia a Sofia, da Sofia a Parigi, da Parigi a Città Del Messico: tutte queste periferie vivono la stessa dimensione” ha dichiarato Roberto Saviano nel videomessaggio inviato a Roma per la conferenza stampa di presentazione della nuova stagione.
Il racconto dei meccanismi della realtà delle periferie – da Marigliano a Ostia a Opera, continua Saviano, che accomuna diverse realtà ormai identificabili come criminali dal pubblico grazie alla messa in scena della serie – è nell’obiettivo degli sceneggiatori una sorta di archetipo che rende riconoscibili le dinamiche del malaffare, “un modello di analisi del potere criminale” che quelle stesse dinamiche mette a nudo, nella loro crudeltà, nella loro spietatezza e mancanza di prospettive che non siano il sangue e la morte.
Gomorra 3 è sempre la solita Gomorra: cupa, angosciante, dai colori acidi della fotografia e dalle tinte forti delle storie dei suoi personaggi, quella Gomorra che ha abituato il pubblico a non stupirsi degli epiloghi sanguinari delle lotte per il dominio del territorio. Semplicemente perché non ci sono altri destini immaginabili. A ricordare che la vita di chi sceglie di sposare il sistema è destinata, inevitabilmente, ad una fine disastrosa – una morte cruenta o il carcere – ci pensa il primo episodio con un nuovo addio per uno dei personaggi principali della scorsa stagione, ora vittima delle dinamiche che hanno portato alla morte di Pietro Savastano (Fortunato Cerlino, che appare per una breve partecipazione da cadavere): l’accordo tra Ciro e Genny (Marco D’Amore e Salvatore Esposito) per mettere fine al potere del boss che, a suo modo, aveva retto le fila e tenuto in piedi gli equilibri delle forze criminali in campo a Scampia e Secondigliano, porta alla sua prima vittima a mezz’ora dall’episodio d’esordio. E qui il legame tra i due si riscopre ancora profondo, viscerale, una sorta di vincolo inscindibile.
Se il primo episodio è tutto orizzontalmente incentrato sulle conseguenze della morte di Don Pietro Savastano, che ha lasciato un vuoto tale per cui la transizione di potere nelle mani di suo figlio non sarà certo indolore, il secondo e il terzo si sviluppano verticalmente sui personaggi che hanno decretato quello stato di cose: da un lato Genny, ora padre e a tutti gli effetti giunto alla prova concreta delle sue abilità di gestione dell’eredità di Napoli Nord da conciliare con la vita familiare a Roma, dall’altro Ciro, in fuga da Napoli dopo l’omicidio del boss e riparatosi a Sofia, dove parla un perfetto bulgaro si ritrova in affari con la mafia locale prima di incontrare la persona che lo convincerà a tornare in patria. Ed è proprio nell’episodio dedicato all’Immortale – che ormai non sembra più lui né nel fisico dimesso né nell’animo annichilito dai troppi lutti – che si intravede in lontananza un raro squarcio di umanità: Ciro si sorprenderà ad aiutare una persona a lui completamente estranea, forse perché in cerca di una redenzione che sa bene essere impossibile (“Ho ucciso anch’io mia figlia, devo pagare“). E poi ci sono le due ‘regine’ rimaste apparentemente senza alcuna risorsa: Patrizia (Cristiana Dell’Anna) in lutto per Pietro e Scianel (Cristina Donadio) in cerca di vendetta dalle sbarre di un carcere. La prima sarà il mezzo di cui la seconda cercherà di servirsi per la sua sete di rivalsa dopo la perdita dell’amato figlio Lelluccio, confermandosi la “iena” che l’attrice Cristina Donadio continua ad intravedere nel suo malvagio e disperato personaggio.
La serie, nata da un’idea di Roberto Saviano che ne ha scritto anche il soggetto, si conferma uno dei più importanti prodotti d’esportazione della serialità italiana (il debutto negli Stati Uniti dello scorso anno è stato un grande successo di pubblico e critica) e non si concluderà a breve. I primi tre episodi, mostrando un’espansione dell’universo narrativo che va dalla nuova vita di padre e imprenditore di Genny all’eterna lotta di Ciro con sé stesso, passando per le nuove leve della criminalità locale, ha ancora in potenza molte storie da raccontare: in questa terza stagione lo farà attraverso nuovi personaggi come quelli del giovane Enzo (Arturo Muselli) detto Sangue Blu deciso a riconquistare gli antichi fasti della sua famiglia, tra le fondatrici della camorra napoletana, e di Valerio (Loris De Luna), giovane della Napoli bene invischiato nella malavita di cui subisce il fascino perverso. E queste nuove forze daranno ampio spazio all’evoluzione delle linee narrative: la prosecuzione della serie è già un dato di fatto, con una quarta stagione di cui esistono già i primi script. “Continueremo finché ci saranno storie forti da raccontare che abbiano un riscontro nella realtà” hanno assicurato gli sceneggiatori in conferenza stampa, perché l’obiettivo resta quello di indurre nello spettatore un effetto catartico attraverso la rappresentazione del male puro, rigettando l’idea che la drammaturgia debba essere solo pedagogica. Gomorra è una rappresentazione per nulla astratta e molto realistica del male, che deve essere riconosciuto per poter essere rifiutato: “Mostrare il male è un’operazione profondamente morale, quando questo è un racconto di un pezzo di realtà” ha dichiarato la sceneggiatrice Maddalena Ravagli. A farle eco il regista di questa terza stagione Claudio Cupellini: “Si prova ancora ad ipotizzare che ci siano responsabilità da imputare a Gomorra quando noi col racconto testimoniamo quello che succede ogni giorno? Credo che solo in questo paese si possa teorizzare l’idea di non voler affrontare tutto ciò. Lo trovo lunare“. Il dibattito, c’è da giurarci, non si chiuderà con la terza stagione di Gomorra.