Passione, il documentario stasera in tv su Rai Tre dedicato da John Turturro alla canzone napoletana, sin dalla scelta programmatica della canzone di Bovio, Tagliaferri e Valente come titolo, si preannuncia come un’immersione dentro quell’universo di emozioni fortissime messe in scena dai brani della tradizione partenopea, specchio di quella singolare categoria dello spirito che è la napoletanità, con la sua proverbiale teatralità – la celebre Palcoscenico diceva che le strade di Napoli sono un interminabile spettacolo all’aperto di scene comiche e tragiche.
Perciò Turturro utilizza la città come un vasto e scenografico fondale teatrale. Le canzoni attingono il loro carattere dai luoghi in cui vengono ambientati i numeri musicali, e così la sensualità, malinconia, felicità che traspaiono dalle melodie s’arricchiscono di senso grazie alla forza espressiva dei vicoli scuri del centro storico, dei lungomare, dei vulcani – la Solfatara, in cui è ambientata la buffa versione di Caravan Petrol di Fiorello.
Completa lo scenario la gente di Napoli. Una presenza fortissima, che affolla i margini delle inquadrature e che talvolta diviene protagonista: una ragazza che ammette di non saper cantare e confessa il disagio dell’essere napoletani; un oste che recita una poesia di Raffaele Viviani che ribalta la retorica della città scugnizza e stracciona e sottolinea la necessità di combattere lo stereotipo attraverso lo studio e la cultura.
Dal mescolamento di questi fattori emerge il discorso di Passione su Napoli e la canzone napoletana, non filologico ma prettamente sentimentale. Al di là del sapore discutibile di alcuni numeri – la sceneggiata di Malafemmena, cantata da Massimo Ranieri e Lina Sastri –, il film di Turturro tiene passabilmente a bada l’oleografia, con punti di vista anche sorprendenti: l’ambientazione nella piscina Mirabilis di Baia del duecentesco Canto delle lavandaie del Vomero, che il luogo e le voci eteree d’un terzetto femminile rendono un brano di delicata spiritualità; l’interpretazione di Gennaro Cosmo Parlato di Maruzzella, misto di sensualità, romanticismo, disperazione; Passione cantata dal nero napoletano James Senese, per ricordare quanto “napoletanità” e canzone napoletana non siano frutti puri, ma il risultato d’una lunghissima sedimentazione e sovrapposizione di culture, musiche, lingue.
Napoli è il risultato d’una stratificazione di elementi diversi, a partire dalle tante dominazioni subite, come ricorda nel film il cantante Raiz. L’identità della canzone napoletana non può che passare attraverso una babele di lingue e suoni: di qui la presenza, in Passione, della tunisina M’Barka Ben Taleb, la portoghese Mísia e artisti napoletani sensibili alle sonorità mediterranee come Enzo Avitabile.
Alcune cose lasciano perplessi in Passione: l’idea che a Napoli la gente canti ancora per strada e che il patrimonio della canzone classica sia ben vivo nella memoria collettiva è più un auspicio che una realtà: e lo sguardo di Turturro è inevitabilmente quello di chi, dall’esterno, guarda un mondo che gli appartiene solo idealmente. Ma l’operazione è vitale e divertita, frutto d’una passione sentita, autentica.
Passione (2010), di John Turturro, con Massimo Ranieri, Lina Sastri, Fiorello, Pietra Montecorvino, stasera in tv su Rai Tre, ore 23.20.