Stasera su Canale 5 in prima tv alle 21.10 c’è Youth – La giovinezza, l’ultimo film di Paolo Sorrentino, ormai l’autore per antonomasia del cinema italiano, prossimo a quel tipo di fama, come diceva Fellini, che si ottiene quando il proprio nome si trasforma in aggettivo – anche se “sorrentiniano” è ben lungi da aver raggiunto la proverbialità di “felliniano”. Non a caso proprio al cinema di Fellini guarda insistentemente la produzione più recente del regista napoletano: La grande bellezza, variazione palese sul tema de La dolce vita e Youth – La giovinezza, esemplato su 8½ – e volendo anche la serie tv The Young Pope segue la tipica ossessione felliniana per preti e religione.
Il protagonista di Youth, l’anziano musicista Fred Ballinger (Michael Caine), sta trascorrendo un periodo di riposo in un sanatorio sulle Alpi Svizzere, non diversamente dal cineasta Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) di 8½, andato in una stazione termale. Entrambi, inoltre, soffrono di incubi. Per evitare il calco troppo diretto, però, Sorrentino il mestiere di regista cinematografico non lo riserva al personaggio principale ma al suo più caro amico, Mick Boyle (Harvey Keitel), anche lui in alta montagna per respirare aria buona e trovare l’ispirazione per scrivere la storia del suo “testamento spirituale”. Mick ha anche strane visioni: in una sequenza incontra tutte le attrici della sua vita, scena che rimanda a quella dell’harem di 8½.
Una volta certificata l’indubbia filiazione felliniana di Sorrentino, vanno poi individuate le specificità del cinema del regista napoletano. Il quale, rispetto al maestro riminese, tende poco all’autobiografia – in Otto ½ talmente spudorata da sconfinare nell’autolesionismo – e più alla dissimulazione, disseminando il film di false piste che sono le storie di tanti personaggi che si mettono in scena, e in maschera, in quella grande recita che è la vita – infatti nel sanatorio c’è un palco girevole sul quale s’esibiscono le attrazioni locali.
A Sorrentino bastano un volto, dei tratti somatici, per immaginare una storia. È il procedimento che ha seguito nel suo ultimo libro, Gli aspetti irrilevanti, in cui a partire dagli scatti di Jacopo Benassi immagina le vicende delle persone fotografate. Lo stesso vale per Youth, costruito come una galleria di ritratti, quasi una pinacoteca – inevitabile a questo punto citare i titoli di testa di The Young Pope –, in cui i caratteri dei personaggi vengono scolpiti attraverso pochissimi dettagli – che potrebbero però essere delle false piste, per nulla veritiere.
Il centro della scena di Youth è occupato da Fred, celebre musicista ormai apatico e disilluso, e da Mick, invece tuttora appassionato e creativo – ma forse anche questa è solo apparenza. Intorno a loro ruota un’eterogenea schiera di personaggi: la figlia di Fred, Lena (Rachel Weisz), lasciata dal marito per una popstar sessualmente più appetitosa; Jimmy Tree (Paul Dano), giovane attore che non sopporta d’essere ricordato per un film di robot; l’anziana diva Brenda Morel (Jane Fonda), che al cinema preferisce i soldi della tv; un grassissimo Diego Armando Maradona (Roly Serrano), che respira con la bombola dell’ossigeno ma palleggia ancora da dio. E poi ancora una coppia matura perennemente muta, miss Universo, sceneggiatori a caccia di un finale, monaci tibetani, rocciatori e massaggiatrici. Tutti sono, come dice a un certo punto Mick, “comparse della vita”, illuminati da quel poco, che è spesso troppo, che Sorrentino dice di loro.
Se si vuole apprezzare Youth, anzi, è meglio non fare troppo affidamento sui dialoghi, che in frasi scolpite come sentenze – dedicate a temi impegnativi: vecchiaia, morte, arte, memoria, passione – mimano una profondità che sconfina spesso nel ridicolo (volontario?). Pescando a caso da un nutrito repertorio: “Io invento storie e per poterlo fare devo credere a qualunque storia”; “Da giovani si vede tutto vicinissimo: quello è il futuro. Da vecchi si vede tutto lontanissimo: quello è il passato”; “Racconto il desiderio perché è quello che ci rende vivi”; “Perché la gente ha così paura di essere toccata? Forse perché pensano che abbia a che vedere col piacere. È solo un’altra buona ragione per toccare invece di parlare”.
Meglio allora, concentrarsi sull’impaginazione visiva di Youth. Sarà perché il protagonista è un musicista, ma più scoperta in questo film è la tentazione sorrentiniana di comporre una sinfonia per immagini, nella quale il brusio della lingua è poco più d’un rumore indistinto e tutto l’essenziale passa attraverso gli occhi. Certo, anche su quel versante c’è la tipica magniloquenza del regista, i movimenti di macchina ormai riconoscibilissimi, le immagini epifaniche, i continui rimescolamenti di stile alto e materiali bassi (l’uso delle canzonette pop), un estetismo estenuato. Però lì è comunque custodita l’autentica sostanza del cinema di Sorrentino, che riesce anche a farsi musica dell’esistenza, e significato. Quel significato che invece è impossibile trovare nella pensosità piuttosto fasulla di dialoghi ingombranti e apodittici. Consigliamo anzi un esperimento: guardate Youth una prima volta normalmente, poi rivedetelo senz’audio. La seconda volta, probabilmente, lo apprezzerete di più.
Youth – La Giovinezza (2015), di Paolo Sorrentino, con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Jane Fonda, Paul Dano, stasera in prima tv su Canale 5, ore 21.10.