Cannes 2017 ha superato il giro di boa della prima settimana, e prima di presentare i due film in concorso oggi, l’atteso L’inganno di Sofia Coppola con Nicole Kidman e Colin Farrell e Rodin di Jacques Dillon, è forse il caso di fare un primo veloce bilancio della kermesse. Nell’ottica della Palma d’Oro la situazione appare piuttosto ingarbugliata: tra i 12 film già proiettati sui 19 in gara non è emerso un netto favorito e anzi diverse sono state le delusioni. Persino il nome più inattaccabile sulla carta, quello del due volte vincitore Michael Haneke, non è stato risparmiato: il suo sconsolato Happy End, ritratto di borghesia in nerissimo, è piaciuto soltanto ai critici anglosassoni, mentre i francesi l’hanno gradito poco – stroncatura sui Cahiers du Cinéma -, e anche gli italiani, Mereghetti del Corriere e Morreale de la Repubblica in testa, ne hanno lamentato quell’aria da bignami dell’Haneke del tempo che fu.
A scorrere la griglia approntata quotidianamente dalla rivista Screen, che raccoglie i giudizi di autorevoli critici di vari paesi, c’è poco da stare allegri: l’unico film che ottiene una media superiore alle fatidiche 3 stelle su 4 è Loveless di Andrej Zvjagintsev, severo racconto di disamori familiari nella Mosca d’oggidì. Gli si avvicina come media The Square dello svedese Ruben Östlund, che però è stato giudicato severamente dai Cahiers, Libération, lo stesso Morreale, che ha parlato di “satira della borghesia facile e vecchiotta”. Malissimo l’altro apologo antiborghese del greco Lanthimos, The Killing of a Scared Deer, durissimo, cupissimo ma anche noioso secondo gran parte della stampa. Eliminati anche il pretenzioso film ungherese Jupiter’s Moon, il biopic su Godard di Hazanavicius Redoutable, i film targati Netflix Okja e The Meyerowitz Stories – che hanno ottenuto riscontri altalenanti e hanno fatto parlare soprattutto per la polemica tra il festival e la piattaforma streaming -, resta ben poco. Il sottile gioco rohmeriano The Day After del regista sudcoreano Hong Sang-soo o l’unico film che ha dimostrato di possedere dentro un’energia non estenuata, 120 Battements par minute, con cui Robin Campillo ha raccontato gli anni Novanta a Parigi, il flagello dell’Aids, gli attivisti che cercavano di sensibilizzare l’opinione pubblica, una storia che il regista conosce bene, essendo stato uno di loro, e infatti il ritratto è coinvolgente, in equilibrio tra vitalità e umori malinconici. Che sia questo per ora il possibile favorito alla Palma d’Oro? Un candidato accreditato potrebbe essere uno dei due film in programmazione oggi a Cannes 2017, L’inganno di Sofia Coppola, con le star Nicole Kidman e Colin Farrell.
L’inganno di Sofia Coppola, in concorso
Nicole Kidman termina il suo tour de force di apparizioni a Cannes 2017, e per la seconda volta, dopo quel The Killing of a Sacred Deer che, come abbiamo già accennato, con la sua freddezza esibita ha lasciato freddi anche i critici, compare in concorso nel nuovo film di Sofia Coppola, L’inganno (The Beguiled). La quale s’è andata a cercare un classico come La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel per farne un remake, dando il ruolo che fu di Clint Eastwood a Colin Farrell, partner della Kidman anche nel film greco (e quest’anno davvero a Cannes sembrano ricorrere sempre gli stessi attori, visto che tra i coprotagonisti c’è anche Elle Fanning, pure accanto alla Kidman nel film fuori concorso How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell) .
La notte brava del soldato Jonathan racconta, durante la guerra di Secessione, la storia di un soldato ferito accolto e curato in un collegio femminile che accende l’interesse di alcune delle ragazze. E se quella vicenda serviva a Siegel per decostruire audacemente il mito della virilità maschile perfettamente incarnato dall’Eastwood dei film western e dell’ispettore Callaghan – perché il militare convinto di poter approfittare della situazione si troverà poi a malpartito –, è probabile che lo sguardo di Sofia Coppola dia centralità ai ruoli femminili e alla dimensione del desiderio – in una realtà e un tempo, quali quella dell’America di metà Ottocento, che tendeva a reprimere e misconoscere la pulsione femminile – che affiora al riparo dello spazio claustrale del collegio.
Per la seconda volta, dopo il discusso Marie Antoniette, Sofia Coppola si confronta con un film in costume, che pesca naturalmente nell’immaginario gotico. “Ero entusiasta all’idea di immergermi nel genere del gotico sudista – ha dichiarato la Coppola – Penso a quando le protagoniste indossano quelle lunghe camicie da notte andando in giro con i candelabri, ero molto presa da questa cose. E c’era per me anche un elemento di divertimento, pensando al gotico e alla sfida di trovare una mia chiave per interpretarlo, cercando un modo personale di stare dentro il genere”. Chissà che, in un concorso, come detto, pieno di delusioni e mezze delusioni, la terza volta di Sofia Coppola al festival di Cannes non possa essere quella giusta (lei che ha già all’attivo la vittoria del Leone d’Oro veneziano, invero assai contestato, con Somewhere). L’uscita sul mercato americano de L’inganno è prevista a partire dal 23 giugno, quella italiana a partire dal 14 settembre, distribuito dalla Universal.
Rodin di Jacques Doillon, in concorso
Terzo titolo francese in concorso: dopo il racconto sull’Aids robusto e appassionato di Robin Campillo e il Godard in commedia di Hazanavicius , arriva il Rodin di Jacques Doillon, autore ricercato e spesso ostico che potrebbe trovare estimatori tra i critici cinefili. Nei panni del celebre scultore francese August Rodin c’è Vincent Lindon, meritatamente vincitore due anni fa del premio come miglior attore per il notevole La legge del mercato di Stéphane Brizé.
Per far calare nel personaggio il protagonista, Jacques Doillon ha fatto frequentare per due mesi a Vincent Lindon un workshop per scultori. “Doveva imparare a lavorare con le mani per essere credibile”, ha dichiarato il regista, che ha voluto girare a Meudon, negli ambienti in cui ha vissuto l’artista. Il racconto parte dal Rodin quarantenne, cui nel 1880 venne commissionata la realizzazione di un portale per un museo di prossima costruzione. Lui lavorò a lungo al progetto, la Porta dell’Inferno: e sebbene l’opera non fu mai terminata, perché quel museo non venne infine realizzato, le figure che dovevano farne parte divennero le più celebri sculture dell’artista, Il pensatore e Il bacio. L’altro versante del racconto è quello sentimentale, il rapporto con la compagna d’una vita, Rose Beuret e la contemporanea, tormentata storia con Camille Claudel, prima modella e poi artista talentuosa, la quale però, una volta abbandonata dallo scultore, subì un tracollo nervoso da cui non si riprese mai più.
Jacques Doillon vuole scandagliare il mistero della creatività artistica e quello della passione amorosa. Ma a giudicare dai giudizi dei critici che l’hanno visto in anteprima, il risultato è da dimenticare. Il Corriere parla di “eros freddo” e di addetti ai lavori che abbandonano la sala parlando di cinema vecchio. E rincara la dose la firma del Guardian, Peter Bradshaw: “L’unica passione che questo biopic incredibilmente noioso può innescare nel pubblico probabilmente è quella di urlare per riavere i soldi indietro”; un film con “attori completamente alla deriva, in ruoli che non prendono mai vita”. La stroncatura si chiude in maniera inappellabile: “La Nouvelle vague si lamentava del cinéma de papa: questo è il fratello maggiore noioso del cinéma de papa”. Speriamo bene.