Archiviata la cerimonia d’apertura di Cannes 2017 di ieri, registrata l’ammirazione per la madrina italiana Monica Bellucci, l’insofferenza per le ferree misure di sicurezza e i primi mugugni per il film d’apertura Les fantômes d’Ismaël di Arnaud Desplechin – “nemmeno Marion Cotillard riesce a salvare questo guazzabuglio ridicolo e autoindulgente“, sentenzia The Guardian -, il festival del cinema nella seconda giornata entra nel vivo. E arrivano i primi due candidati alla Palma d’oro, Wonderstruck di Todd Haynes e Nelyubov (Loveless) di Andrey Zvyagintsev.
Nel frattempo ci sono le nuove puntate della polemica tra Cannes e Netflix, che sta infiammando gli addetti ai lavori, trattandosi di una questione che investe il futuro dell’industria cinema, le sue logiche produttive e distributive. Cannes ha sentenziato che dal prossimo anno i film che vorranno partecipare al festival dovranno necessariamente avere una distribuzione in sala, concedendo solo una deroga – per evitare uno sgradevole incidente diplomatico – ai due lungometraggi prodotti dal colosso dello streaming online in concorso in questa edizione (Okja di Bong Joon-Ho e The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach).
Il presidente della giuria Almodóvar, appena giunto sulla Croisette, offre un assist al festival dichiarando di “non riuscire a immaginare una Palma d’oro data a un film che non passa sul grande schermo”. Poi precisa: “Le piattaforme digitali rappresentano un nuovo modo per offrire parole e immagini, e costituiscono un arricchimento. Ma non devono prendere il posto delle sale cinematografiche. L’unica soluzione è che accettino e obbediscano alle regole già adottate e rispettate dai network esistenti”.
Diverso invece l’atteggiamento del giurato Will Smith, che con Netflix ha anche un film in uscita, Bright: “Ho tre figli, di 16, 18 e 24 anni. Vanno al cinema due volte alla settimana e guardano Netflix. Non c’è quasi sovrapposizione tra le due cose. Vanno al cinema per esser travolti da un certo tipo di immagini e stanno a casa per vederne altre. A casa mia Netflix ha portato solo benefici, consentendo loro di vedere film che altrimenti non avrebbero visto. Ha ampliato la loro comprensione globale cinematografica”.
Ma ecco il programma della seconda giornata di Cannes 2017, con i due film in concorso e il primo film italiano sulla Croisette, Sicilian Ghost Story, nella Semaine de la Critique. Tre opere che hanno tra loro un intrigante punto di contatto perché, curiosamente, ruotano intorno allo stessa tema: giovanissimi in fuga, che spariscono, si perdono.
Wondestruck di Todd Haynes, in concorso
Il primo candidato a scendere in pista a Cannes 2017 è Todd Haynes, qui già due anni con Carol. La sua nuova pellicola lo riunisce alla sua attrice feticcio Julianne Moore, già in Safe e nel bellissimo melodramma Lontano dal Paradiso; accanto a lei ci sono Michelle Williams, reduce da Manchester by The Sea, e due giovanissimi, Oakes Fegley e la bambina non udente Millicent Simmonds. Wondestruck è tratto dal romanzo omonimo per ragazzi di Brian Selznick (in italiano La stanza delle meraviglie), autore anche di Hugo Cabret, trasposto al cinema da Martin Scorsese.
La storia incrocia due vicende parallele che si svolgono nel 1927 e nel 1977. Nella prima Rose, una ragazzina del New Jersey non udente, sola e infelice, scappa a New York per conoscere il suo idolo, l’attrice teatrale Lillian Mayhew. Ma l’incontro con l’artista non ottiene gli effetti sperati, e la bambina fugge nuovamente, riparando all’American Museum of Natural History, in cui lavora il fratello Walter. Nel 1977 invece il piccolo Ben, che è orfano di madre e non ha mai conosciuto il padre, vive con gli zii. Fra le carte della madre trova un segnalibro nel romanzo “Wonderstruck” con la scritta “Con Amore, Danny”. Pensando si tratti di un messaggio del padre, cerca un modo per contattarlo, e la sua avventura lo condurrà prima all’American Museum of Natural History e poi alla libreria il cui indirizzo era indicato sul segnalibro.
Naturalmente i protagonisti delle due parallele storie di solitudine saranno destinati a incontrarsi, rivelando anche la natura dei legami che intercorrono tra loro. La solitudine infantile, la fuga e il bisogno di protezione rimandano subito all’immaginario che abbiamo imparato a conoscere con Hugo Cabret. Todd Haynes ha costruito un film di incastri temporali, con la sua usuale sensibilità per le parti in costume incrociando, in virtù della menomazione fisica dei protagonisti, film muto e film parlato, colore e bianco e nero. Il regista ha dichiarato di essere stato attratto dalla possibilità di “mescolare idee e immagini della Manhattan degli anni Venti e della New York in uno dei suoi periodi di maggiore crisi economica, gli anni Settanta. Ma soprattutto ho amato il fatto che il racconto funziona come una classica storia di misteri, con enigmi che i ragazzini devono decifrare e comprendere. E l’enigma centrale è: perché stiamo raccontando queste due storie, e come si collegheranno?”.
Nelyubov (Loveless) di Andrey Zvyagintsev, in concorso
Il regista russo Andrey Zvyagintsev è un habitué del festival, Cannes 2017 rappresenta la sua quarta volta sulla Croisette, dove aveva già vinto il premio speciale della Giuria nella sezione Un certain regard nel 2011 con Elena, e il riconoscimento per la sceneggiatura nel 2014, per il bellissimo Leviathan. E se al palmarès aggiugiamo anche il Leone d’oro vinto nel 2003 con Il ritorno, capiamo bene di trovarci di fronte a un accreditato rappresentante del cinema d’autore europeo e un attendibile candidato a uno dei premi maggiori.
Loveless parte da una coppia moscovita sul punto di divorziare, obbligata da ragioni di forza maggiore a dividere lo stesso appartamento, che cerca di vendere per porre fine a una convivenza divenuta insostenibile. Insostenibile soprattutto per il figlio dodicenne, che a un certo punto scompare, obbligando i due genitori a mettersi sulle sue tracce. Il disegno del film di Zvyagintsev però non sembra prevedere il lieto fine d’una coppia che, attraversando una prova impegnativa e dolorosa, ritrova ottimisticamente un nuovo modo per stare insieme. Loveless, piuttosto, diventa un modo per raccontare un esacerbarsi dei sentimenti – tra marito e moglie, tra genitori e figli – che si fa specchio di una crisi culturale più generale, in cui il microcosmo familiare diventa il riflesso del macrocosmo sociale della Russia dell’era Putin. Un approccio che non soprende per un regista che con Leviathan aveva composto uno sconsolato atto d’accusa contro la corruzione morale e materiale del suo paese, che pare ripetersi nella dura metafora del figlio perduto, e forse non amato.
Sicilian Ghost Story, di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, Semaine de la Critique
Nella seconda giornata di Cannes 2017, oltre i film in concorso, il programma offre anche il primo dei sei film italiani, Sicilian Ghost Story, che apre la rassegna parallela della Semaine de la Critique e contemporaneamente esce anche nei cinema italiani in una cinquantina di copie circa.
Alla Semaine Fabio Grassadonia e Antonio Piazza avevano già partecipato col loro film d’esordio Salvo, e vi tornano con Sicilian Ghost Story, la cui sceneggiatura aveva già vinto il Sundance Institute Global Filmmaking Award. Il film si ispira alla tragica vicenda di Giuseppe di Matteo, figlio dell’ex mafioso pentito Santino, ma non ha le cadenze del romanzo criminale, e invece sceglie un tono intrigante, anche sotto il profilo formale, di fiaba nera.
Giuseppe è un ragazzino di tredici anni che sparisce misteriosamente in un paesino siciliano ai confini d’un bosco. E l’unica persona che si ribella al silenzio colpevole che circonda questa sparizione è una sua compagna di classe. Come hanno dichiarato i registi, “è una favola ambientata in una Sicilia mai esplorata prima, una Sicilia sognata. Un mondo di fratelli Grimm, di foreste, di orchi, che collide con la realtà”. E che proprio in questa collisione sperimenta un modo inedito di raccontare il male e la criminalità, un approccio sicuramente necessario anche per rompere il riflesso condizionato di meccanismi narrativi e di rappresentazione in questi ultimi anni troppo ripiegati sul modello Gomorra.