Grey’s Anatomy 13×12, con Alex Karev salvato dalle sue responsabilità dopo il ritiro della denuncia per aggressione da parte della vittima DeLuca, è un episodio controverso per le sensazioni differenti che è in grado di suscitare. Da un lato il sollievo per la sorte di uno dei personaggi più amati, dall’altro il brutto messaggio veicolato dalla storyline principale. Brutto perché l’impunità non è mai digeribile, anche se rappresentata con un espediente perfettamente legale. Brutto perché per una serie che ha fatto di un certo tipo di etica del comportamento la sua forza, che propugna valori per lo più positivi come la giustizia sociale, i diritti civili, la nobiltà del lavoro, il senso della morale, è difficile accettare un esito del genere senza un certo malessere.
Certo, la scelta di concludere la vicenda giudiziaria di Karev con un lieto fine perfettamente plausibile e realistico (tanti processi abortiscono per il ritiro di una denuncia o per altri motivi che fanno decadere i capi d’accusa) era forse l’unico modo per uscire da un cul de sac in cui la sceneggiatura aveva infilato i suoi personaggi: Karev sarebbe finito in galera per molti anni o per pochi, a seconda della scelta tra processo o patteggiamento. In entrambi i casi, avrebbe posto fine alla sua carriera da medico e di conseguenza la sua permanenza nella serie sarebbe stata difficilmente concepibile. Così, invece, si è riusciti a salvare capre e cavoli rimettendo il personaggio in carreggiata, ma con una via d’uscita che lascia qualche dubbio nello spettatore.
Alex si dice pentito, cerca DeLuca per un chiarimento ma alla fine lascia parlare soltanto lui e chiede alla Bailey di poter tornare al lavoro, ma non sembra profondamente consapevole della gravità delle sue azioni. Le sue scuse a DeLuca sono quasi impercettibili nella loro conversazione, così come davanti alla Bailey si limita a giurare di aver messo la testa a posto, mentre con Meredith e Maggie appare sorridente e sollevato. Probabilmente non ha ancora avuto il tempo di realizzare da quale tunnel sia appena uscito, né di cospargersi il capo di cenere meditando sui suoi demoni interiori e sulle sue debolezze che lo hanno spinto quasi ad uccidere una persona per un banale fraintendimento: una riflessione certamente necessaria che invece non si è ancora vista. Di sicuro la sua piena redenzione è ancora lontana da venire, ma probabilmente Karev sarà destinato a fare i conti con la sua coscienza per il resto della stagione. Così come il bell’abbraccio finale con Jo dovrà essere seguito finalmente da un dialogo aperto e leale tra due personaggi che, incredibilmente dopo circa quattro anni di relazione non riescono a comunicare.
Di sicuro Grey’s Anatomy non è How To Get Away With Murder, dove il telespettatore opera una sorta di sospensione del giudizio morale perché dà per assodato il contesto infernale di colpevolezza generalizzata in cui tutti i protagonisti si ritrovano ad essere assassini o complici di delitti, investiti da un peccato originale che si propaga fino a coinvolgere tutti con colpe più o meno volontarie. In Grey’s Anatomy il giudizio morale c’è perché c’è sempre stato, anzi viene esercitato con più forza proprio in virtù dell’evoluzione dei personaggi, diventati progressivamente una versione migliore di loro stessi in tutti questi anni, alzando dunque l’asticella delle aspettative sui loro comportamenti.
Poco altro c’è da dire su un episodio che, oltre alla questione di Alex, ha continuato a protrarre senza troppi colpi di scena le altre storyline (nemmeno l’arrivo di mamma Pierce ha contribuito a rendere Maggie più simpatica). L’unico rilevante è quello che riguarda la sospensione di Meredith per il mobbing operato contro Eliza Minnick, una punizione esemplare che serve da messaggio per il resto degli strutturati, tutti schierati contro la nuova direttrice del programma di specializzazione in una battaglia quasi ridicola per modi e toni, se si considera che è portata avanti da persone adulte e soprattutto grandi professionisti. Il clima creato dalla lotta alla nuova arrivata, che inizia a farsi strada nel cuore di Arizona con provocazioni ficcanti ed efficaci, somiglia a quello generato nella nona stagione dalla vendita dell’ospedale, che ha compattato tutti contro un nemico comune identificato nel commissario liquidatore. Solo che in quel caso l’obiettivo era lodevole (salvare un ospedale dallo smantellamento), in questo caso è solo ostracismo nei confronti di chi propone un metodo di lavoro non condiviso ed è questa la debolezza della storyline: possibile che un professionista saggio e avveduto come Webber, il capo storico riconosciuto leader morale di tutto il gruppo, non trovi altro modo per affermare le sue ragioni se non attraverso dispetti e complotti?
Stando allo sneak peak dell’episodio 13×14, la confusione regnerà sovrana: possibile che perfino la sua migliore amica Arizona, come Jackson, padre di sua figlia, e Nathan, che con lei ha condiviso l’esperienza di medico di guerra, non mostrino la minima comprensione nei confronti di April, che si è ritrovata a diventare primario di chirurgia per un mero ordine del capo? L’unico a ragionare con senso di responsabilità sembra essere Owen, che in qualità di ex capo forse ha una consapevolezza maggiore di cosa voglia dire pensare al bene comune più che a quello dei singoli.
Una menzione speciale va al caso medico di Grey’s Anatomy 13×12: quella della donna rimasta ferita e mutilata per via di un muro di protezione tirato su col marito per proteggersi dagli altri è un chiaro messaggio politico contro le barriere (sociali, geografiche, culturali) che l’America di Donald Trump sta innalzando simbolicamente, politicamente e fisicamente. Grey’s Anatomy ha sempre avuto un occhio attento all’attualità facendola entrare in corsia coi suoi casi medici: ha raccontato il problema della diffusione incontrollata delle armi, i progressi di giustizia sociale fatti con la Obama care, il diritto alla salute mai abbastanza tutelato, il dramma della violenza domestica e molto altro. Shonda Rhimes ha dichiarato di sentire il peso di una missione dopo l’elezione di Trump e Grey’s Anatomy, dopo 13 anni, è ancora il luogo ideale in cui realizzarla.