Per trasformare il videogioco Assassin’s Creed in un film, s’è ricomposta la squadra dell’ultimo Macbeth, con Justin Kurzel alla regia e Michael Fassbender (anche coproduttore) e Marion Cotillard quali protagonisti, più lussuosi comprimari, Jeremy Irons e Charlotte Rampling.
Il videogioco targato Ubisoft è un blockbuster da circa cento milioni di copie. Il successo è legato al fascino dell’ambientazione da antiche Crociate, con la lotta secolare tra i Templari, che vogliono controllare il mondo eliminando il libero arbitrio umano, e la confraternita segreta degli Assassini (“agiamo nell’ombra per servire la luce”) che contrastano il disegno totalitario.
Al centro di questa sfida, e siamo al film Assassin’s Creed, si trova Callum Lynch (Fassbender), feroce criminale segnato dal trauma di aver visto il padre uccidere la madre. Lui è il pronipote di Aguilar, Assassino impegnato nella lotta ai Templari al tempo dell’Inquisizione spagnola, alla fine del XV secolo. A Callum si interessa la Abstergo Industries di Rikkin (Irons), dietro cui si nascondono i Templari del ventunesimo secolo, che ha ideato una tecnologia, sviluppata dalla figlia del magnate Sophie (Cotillard), che consente, tramite il dna di Callum, di riattivare la memoria genetica dell’antenato Aguilar. Attraverso i suoi ricordi, vogliono ritrovare il “pomo dell’Eden”, l’antico oggetto magico che consentirebbe di eliminare definitivamente il libero arbitrio e ridurre all’obbedienza il mondo intero.
Collegato al macchinario, Callum “rivive” le esperienze dell’antenato: così Assassin’s Creed è strutturato sull’andirivieni tra una Spagna calda, giallastra, barbara del 1492 (ambientata a Malta e in Almeria, location storica degli spaghetti western), e il mondo bluastro, asettico, high tech del laboratorio-carcere in cui è confinato Callum (ricreato ai Pinewood Studios di 007).
Il passaggio dal videogioco al film comporta sempre – quindi anche per l’Assassin’s Creed con Michael Fassbender – un cambio di paradigma: il giocatore che interagisce con l’universo videoludico va trasformato in uno spettatore, inevitabilmente passivo, d’un racconto ispessito da una narrazione tridimensione e profili psicologici verosimili.
Assassin’s Creed di Kurzel affronta la sfida da un lato affidandosi al gigantismo produttivo e alla cura dei dettagli, dall’abbigliamento d’epoca all’uso dello spagnolo sottotitolato nelle parti storiche; dall’altro puntando non sul genere fantasy o supereroistico, bensì su un immaginario distopico, adulto, un futuro prossimo venturo da incubo, nel quale la tecnologia è il cuore di un progetto ideologico in cui l’uomo è ridotto a ingranaggio d’un meccanismo totalitario da 1984.
Il progetto è impegnativo, ma l’intreccio è fragile, fumettistico. Nonostante la confezione ricercata, Assassin’s Creed è solo un film d’azione con ambizioni, basato su un immaginario di riporto, che guarda a Matrix senza possederne la profondità e a tratti al Terry Gilliam de L’esercito delle dodici scimmie, senza la sua grottesca visionarietà. La foga recitativa di Michael Fassbender, vista la pochezza dell’intrigo, è persino fuori luogo. E Marion Cotillard, per una volta, è anonima.
I videogiochi restano un terreno scivolosissimo per il cinema. Basta vedere i migliori incassi di sempre di adattamenti da videogames per capire come Hollywood non sia ancora riuscita a trovare una strategia efficace per renderli redditizi come i film di supereroi.