Il personaggio di Lenny Belardo, il protagonista di The Young Pope, possiede uno dei profili psicologici più complicati del panorama cinematografico e televisivo. Pensarlo e dargli vita deve essere stato difficile, ma ancora di più è stato mantenerlo interessante per lo spettatore, svelando di settimana in settimana qualche informazione in più, ma senza mai fornire la soluzione del puzzle.
Al termine della sua prima stagione, The Young Pope ha messo in chiaro un preciso aspetto della psiche di Lenny: forse, probabilmente, di tutti gli uomini presenti sulla Terra, Pio XIII è il più religioso, ma quello che manifesta la sua fede in Dio nella maniera meno tradizionale possibile.
Abituati come siamo ad una visione “moderna” della Chiesa Cattolica, fatta di azioni e di parole quasi più che di spiritualità, il Papa interpretato da Jude Law è riuscito a spiazzarci, in un primo momento. È buono, o è cattivo? Ci crede in Dio, oppure no? Ha un secondo fine il suo papato? ci ha fatto chiedere nella prima metà della stagione, finché non ci ha fatto quasi vergognare del nostro pensiero. Lui, che incarna un cattolicesimo di spirito e di puro amore nei confronti di Dio, semplicemente non è stato compreso, né da noi né dal fittizio clero con cui lo abbiamo visto agire sullo schermo.
Il Papa che Sorrentino ci ha presentato in questi dieci episodi di The Young Pope è, fondamentalmente, un uomo ingenuo e innocente, perennemente alla ricerca dell’amore che da bambino i suoi genitori gli hanno fatto mancare. Un uomo, Lenny, talmente puro da scrivere lettere d’amore senza mai inviarle, e a non vederci all’interno alcuno scandalo, perché pienamente consapevole che “delle lettere d’amore mai spedite non sono una notizia, ma semplicemente natura“. Un uomo che non aspira alla santità, perché “non mi interessa fare un altro salto di carriera” – liquidando la canonizzazione ad una mera pretesa dell’uomo di sostituirsi al giudizio di Dio, l’unico in grado di decidere chi è meritevole di gloria eterna e chi no. Pio XIII conosce i suoi limiti e ormai, grazie ad un’intimità che ha stabilito con Dio sin da bambino, è pienamente consapevole di essere umano, di fronte alla gente che lo vorrebbe santo. Forse è questa è l’essenza dell’intera serie televisiva: la superficialità che ormai regna sovrana nell’ambiente della Chiesa, lì dove un uomo così spirituale rischia invece di passare per la pecora nera.
Non è un caso che, alla fine, Pio XIII ceda e si faccia finalmente guardare in volto dai fedeli, durante l’omelia in Piazza San Marco a Venezia. Ci sono meccaniche che nemmeno il più testardo degli uomini può oltrepassare: quelle umane. C’è differenza tra un discorso pronunciato col cuore, ma del quale si può solo udire la voce dell’oratore, e un discorso interpretato con le proprie espressioni facciali, con il linguaggio del corpo: Lenny non è una persona stupida, e comprende che non tutto può essere fatto a modo suo quando di mezzo ci sono dei fedeli che forse, con un po’ più di apertura da parte sua, possono finalmente arrivare a comprendere quell’enigmatico Papa. E non è un caso che un simile sforzo da parte di Lenny si concluda con un malore – che, volendo, racchiude l’intero sforzo compiuto da Pio XIII nel corso del suo mandato. Fino alla fine, Lenny Belardo ci lascia ad interrogarci, stavolta sulla vita e la morte: sul suo recupero delle forze, però, non dovremmo avere dubbi, visto che la seconda stagione di The Young Pope è certamente nei piani di Sorrentino.
The Young Pope si merita un posto tra le migliori serie tv che abbia mai avuto il piacere di vedere, per sceneggiatura, regia, scenografia, recitazione e molti altri aspetti. Ma a The Young Pope devo anche un altro merito: quello di avermi dato la migliore definizione di Dio che io abbia mai sentito, sintetizzata da Lenny Belardo con un semplice “Pensate a tutte le cose che vi piacciono: quello è Dio“.