L’estate addosso di Gabriele Muccino comincia col diciottenne Marco (Brando Pacitto), ragazzetto della Roma bene fresco di diploma, che sotterra il suo cane. L’immagine cupa d’un giovane fotografato alla fine di un percorso e in procinto di intraprenderne un altro (gli piacerebbe fare Veterinaria, chissà), convinto poco sia del passato che del futuro. A scompaginare le carte arriva l’agognato viaggio in America, insieme però alla detestata Maria (Matilda Lutz), perfettina, bigotta (a scuola la chiamano la suora). I due sono ospiti a San Francisco di Matt e Paul (Taylor Frey e Joseph Haro) che, con grande scandalo di Maria, sono una coppia omosessuale.
L’estate addosso torna ai temi dell’adolescenza che Muccino racconta dai tempi di Come te nessuno mai. Solo che nel frattempo il regista è diventato un adulto della generazione dei padri, e la cosa si riflette in un film che non ha la frenesia e la cattiveria piuttosto gratuita dei tempi de L’ultimo bacio, in cui fotografava i trentenni con malumore e cinismo.
Se gli interrogativi dei ragazzi restano gli stessi – dubbi sul futuro, bisogno d’amore (e sesso), insicurezze identitarie – cambia la forma del racconto. L’estate addosso non è nonostante le apparenze, un road movie esistenziale. Escluso un viaggio a Cuba (con troppi luoghi comuni turistici), il film è una storia da camera, con i protagonisti bloccati (non solo fisicamente, ovvio) a San Francisco. Dove la cosa più importante è il confronto con la coppia omosessuale, che si trasforma in un rapporto a quattro intenso e coinvolgente.
Statico è pure il racconto, quasi senza trama, che non segue gli snodi narrativi ma i sussulti sentimentali dei personaggi. L’estate addosso sembra un block notes di appunti sparsi, privo di una struttura coerente. Infatti Muccino ha dichiarato di aver costruito i dialoghi a partire dagli stralci di un vero diario di viaggio. Questa vicenda sospesa tra Italia e Stati Uniti contiene naturalmente qualcosa dello stesso regista, da anni diviso tra i due paesi, che ha approfittato della produzione italiana per mettere in scena un racconto sfilacciato che a Hollywood gli sarebbe stato impossibile realizzare.
Il risultato è discutibile in molti passaggi: il lunghissimo flashback sulla storia di Matt e Paul, che trasforma L’estate addosso quasi in un mélo strappalacrime; il tratteggio elementare dei personaggi puliti e benestanti, con la coppia gay politicamente corretta e la trasformazione meccanica di Maria da bacchettona a donna libera; i semplicistici “messaggi” nei dialoghi e la voce fuori campo di Marco che trae lezioni di vita dagli avvenimenti. Ci sono anche notazioni corrette, il trasalimento sessuale di Marco raccontato con franchezza, la conclusione priva di un vero lieto fine, quella sensazione delle cose belle che come arrivano, poi svaniscono. L’estate addosso conferma certi difetti di Muccino, tra cui una certa ruffianeria. Ma è un racconto più disteso, rasserenato, privo di una direzione troppo definita, che ammorbidisce il suo solito pathos programmatico (L’ultimo bacio, Sette anime). Forse Muccino si è concesso una vacanza insieme ai suoi personaggi. E tutto sommato sembra avergli fatto bene.