Poiché ci si avvicina a grandi passi verso la conclusione del festival, che chiude i battenti sabato con la proclamazione dei vincitori, Venezia 2016 negli ultimi due giorni di programmazione prevede un calendario fittissimo.
Si parte naturalmente con i due candidati del concorso del giorno, che sono l’Andrej Končalovskij di Paradise e il terzo e ultimo italiano, il Giuseppe Piccioni di Questi giorni.
Ma c’è molto altro: in primo luogo il Leone d’oro alla carriera a un’icona del cinema europeo, l’attore Jean-Paul Belmondo.
E poi nelle rassegne collaterali ci sono moltissime curiosità, da Planetarium – che ha il sapore di quel cinema francese che guarda allo scintillio hollywoodiano, con tanto di diva (Natalie Portman) e Temi Importanti (metacinema e antisemitismo) – a un documentario del Leone d’oro dello scorso anno Lorenzo Vigas. Più gli italiani, con il Vangelo di Pippo Delbono e Stanza 52, esordio nel cortometraggio di uno dei migliori sceneggiatori dell’ultimo cinema italiano, il napoletano Maurizio Braucci.
Paradise, di Andrej Končalovskij
Il quasi ottuagenario Andrej Končalovskij è stato un protagonista del rinnovamento del cinema sovietico degli anni Sessanta e anche un artista con difficili rapporti col regime, che impedì la distribuzione dei suoi film, spingendolo al trasferimento negli Stati Uniti. Di lì una carriera altalenante, con film personali, come Maria’s lovers, ma anche cadute di gusto come il fracassone Tango&Cash con Stallone e Kurt Russell. E anche certe più recenti sortite autoriali, dopo il ritorno in Europa, come La casa dei matti (2002) e Lo schiaccianoci (2009), non avevano diradato le perplessità. Poi al festival di Venezia nel 2014 ha vinto un Leone d’argento col convincente Le notti bianche di un postino, che ne ha rialzato le quotazioni.
Quest’anno torna a Venezia 2016 in concorso con Paradise, immerso nella devastazione della Seconda guerra mondiale. Olga è un’aristocratica russa, membro della Resistenza francese, arrestata dalla polizia nazista per aver nascosto dei bambini ebrei. In galera incontra Jules, un collaborazionista franco-nazista incaricato di cui accetta le avances in cambio di un miglior trattamento in carcere. Ma poi arriva il trasferimento in campo di concentramento, dove Olga ritrova Helmut, un ufficiale delle SS, un tempo follemente innamorato di lei. Tra i due rinasce una relazione ambigua e contorta. Intanto s’avvicina la capitolazione di Hitler.
Il ruolo della protagonista è intrepretato dalla moglie di Andrej Končalovskij, Yuliya Vysotskaya. Amore e morte, la guerra, il nazismo e il campo di concentramento, filmato in un rigoroso bianco e nero. Ingredienti impegnativi, che corrono il rischio del déjà-vu e d’un cinema nobilmente monumentale. In questo senso non tranquillizzano le marmoree dichiarazioni del regista, secondo cui “Paradise riflette su un ventesimo secolo carico di grandi illusioni sepolte sotto le rovine, sui pericoli della retorica dell’odio e sul bisogno degli esseri umani di usare la potenza dell’amore per trionfare sul male”. A Venezia il regista riceverà anche il premio Bresson, conferito dalla fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo.
Questi giorni, di Giuseppe Piccioni
Terzo e ultimo film italiano in concorso a Venezia 2016. E dopo l’aristocratico Spira Mirabilis e la commedia leggera (troppo?) Piuma, fatta oggetto delle polemiche più dure da parte dei critici, è la volta del più titolato del lotto, il Giuseppe Piccioni di Questi giorni. Che ha una solida carriera e anche trascorsi a Venezia, la doppia Coppa Volpi a Sandra Ceccarelli e Luigi Lo Cascio per Luce dei miei occhi nel 2001. Il sessantenne Piccioni condivide con Piuma la voglia di sintonizzarsi sulle nuove generazioni, e lui così attento a scandagliare sussulti emotivi e desideri di felicità, trova le sue protagoniste in quattro ragazze d’una città di provincia, che sottrae al sonnacchioso tran tran quotidiano e lancia sulla strada d’un viaggio a Belgrado, dove una di loro dovrebbe stabilirsi per lavoro.
“Le ragazze, semplicemente, sono il film – ha dichiarato Giuseppe Piccioni –, volevo raccontare quel senso fisico dell’esistenza tipico di quell’età, quell’energia, quel dispendio senza riserve o cautele”. Perciò in questo road movie decisamente generazionale tutto ruota intorno alle quattro giovani attrici, Marta Gastini, Laura Adriani, Maria Roveran, Caterina Le Caselle, alle quali però il regista accosta una generazione di genitori e fratelli maggiori, impersonati da Margherita Buy, Sergio Rubini, Filippo Timi.
Alberto Barbera ha appassionatamente sostenuto che Questi giorni è “il film più maturo e ambizioso del regista, anche da un punto di vista formale ed estetico”. E Giuseppe Piccioni sembra d’accordo: “Ho avuto un maggior desiderio di libertà dal punto di vista formale, specie quando durante il viaggio, la scansione delle scene e il loro ritmo cambiano”. Non un cinema della nostalgia stavolta, com’era stato in altre occasioni (Il grande Blek), ma forse un racconto dei tempi della precarietà affettiva (e lavorativa), con i trasalimenti e i dubbi relativi alla voglia di futuro e felicità.
Il Leone d’oro alla carriera a Jean-Paul Belmondo
Venezia 2016 assegna oggi il Leone d’oro alla carriera a Jean-Paul Belmondo, il leggendario Bébel, 83 anni, un pezzo di storia del cinema, anzi più di uno. Icona della nouvelle vague (con Godard, Chabrol, Truffaut), consegnata alle immagini di lui e Jean Seberg che passeggiano per i boulevards di Parigi in Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard, o a quelle del suo volto enigmaticamente dipinto di blu in Pierrot le fou. E poi scanzonato divo del cinema, con la rivalità (lui assicura falsa, erano buoni amici) con Alain Delon ai tempi di Borsalino, gli amori (una lunga relazione con Laura Antonelli), i tanti film a volte tirati via a volte belli (Stavisky il grande truffatore di Alain Resnais, un magnifico Jean Valjan ne I Miserabili di Claude Lelouch). E anche cinema italiano nella sua carriera, lui che aveva il nonno piemontese e la nonna siciliana: agli inizi, Lettere di una novizia (1960) con Alberto Lattuada, naturalmente La ciociara (1960) di Vittorio De Sica accanto a Sophia Loren, La viaccia (1961) di Mauro Bolognini; e alla fine in un certo senso, dato che la sua ultima interpretazione è stata Un homme et son chien (2008), remake dell’Umberto D. desichiano, film sulla vecchiaia con cui il vecchio Belmondo torna al cinema sette anni dopo l’ictus, e chiede di essere ripreso “così come sono, non voglio fare finta di essere in un altro modo”. Il cinema italiano lo ringrazia con il premio veneziano: “Interprete di una straordinaria versatilità – ha dichiarato Alberto Barbera nella motivazione del premio – che gli ha consentito di interpretare di volta in volta ruoli drammatici, avventurosi e persino comici, che hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento”.
Gli altri protagonisti: Portman, Vigas, Delbono
Natalie Portman e gli spettri. Oggi a Venezia 2016 si parlerà parecchio del film francese Planetarium di Rebecca Zlotowski, fuori concorso. È coprodotto dai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, e ha un cast di richiamo, Natalie Portman (vista ieri in Jackie di Pablo Larraín), Lily-Rose Depp (figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis), Emmanuel Salinger e Louis Garrel. Il film della giovane regista francese racconta la vicenda, ambientata nei tardi anni Trenta, di due spiritiste americane in viaggio in Europa, che a Parigi incontrano un potente produttore cinematografico francese che le scrittura per un film. Intanto spirano venti di guerra, e nella vecchia Europa tutto sta per cambiare. Planetarium è la terza e più ambiziosa regia della giovane Rebecca Zlotowski, che firma un’opera il cui pericolo è quello d’affastellare troppi temi scivolosi, cinema nel cinema, spiritismo, antisemitismo (e qualcuno l’ha già bollato come noioso). “Quanto è importante il cinema come strumento di conoscenza, sia di sé che degli altri? – si chiede la regista – Che cosa hanno da dirci i fantasmi? Ho voluto raccontare il destino di tre personaggi presi nel turbine di un mondo pieno di sfiducia, di fede, di paure, di desideri e di ambizioni. Un mondo come il nostro nel quale non sappiamo mai che cosa stia per cambiare”.
Il dipinto perduto. Con il suo lungometraggio d’esordio Ti guardo, il venezuelano Lorenzo Vigas l’anno scorso ha vinto a sorpresa il festival di Venezia, primo regista latinoamericano a riuscirci. Quest’anno è nella giuria del concorso principale, e anche protagonista di un omaggio fuori concorso, con la proiezione di El vendedor de orquídeas. Un documentario che è un omaggio duplice, poiché è dedicato a Oswaldo Vigas, padre del regista, noto pittore venezuelano morto nel 2014, di cui racconta il ritorno quand’era ottantenne nella cittadina in cui era cresciuto, alla ricerca di un quadro andato perduto da giovane. “Ricordo la descrizione che faceva mio padre di un dipinto della sua adolescenza – ha dichiarato Lorenzo Vigas – quando viveva nella città di Guacara, che non vedeva da settant’anni. Sapevo che teneva moltissimo al Venditore di orchidee per il modo in cui ne parlava e per le emozioni che venivano a galla ogni volta che ne ricordava il nome”. Ma non aspettatevi un’agiografia d’artista: “Non volevo fare un documentario compiacente su un padre ammirato – assicura Vigas –, ci sono i suoi lati oscuri e dolorosi. La ricerca del dipinto perduto diventa un’occasione per riflettere sul passare del tempo, sull’importanza dei ricordi e, soprattutto, sull’origine dell’impulso creativo primordiale”.
Il Vangelo degli ultimi. Nelle Giornate degli Autori c’è anche come evento speciale Vangelo di Pippo Delbono. L’attore e regista teatrale l’abbiamo visto appena ieri in La ragazza del mondo di Marco Danieli, in cui interpreta un testimone di Geova. Oggi continua il suo corpo a corpo con i temi della fede, lui laico, con un film che parte da una promessa fatta sul letto di morte alla religiosissima madre, che gli chiedeva di affrontare il tema del Vangelo. «Come faccio a fare il Vangelo, mamma? – si chiede Pippo Delbono nel film – Io non credo in Dio. Non credo a questo Dio delle menzogne, a questo Dio della famiglia, in questo dio che m’insegnavate da piccolo, questo dio delle paure, paure di tutto, anche dell’amore. Dell’amore. Questo Dio dei miracoli. Questo dio che cammina sull’acqua. Non si può camminare sull’acqua. Si può solo sprofondare nell’acqua, come sprofondano tutte queste persone che stanno arrivando qua e che cadono, come dei Cristi, in mezzo al mare». Quindi l’autore ha costruito un racconto della realtà, un Vangelo di strada che cerca le tracce della spiritualità tra gli ultimi. Nato sul palcoscenico, Vangelo è ora tradotto in cinema, con Pippo Delbono in un centro di accoglienza di Asti che raccoglie con rispetto e pudore le storie rocambolesche e dolorose dei rifugiati. “In queste storie – ha dichiarato l’autore al Corriere della Sera – si può rintracciare il legame con il messaggio cristiano: vi tortureranno, vi perseguiteranno, vi trafiggeranno. Sono tutti Cristi velati con cui celebro una messa laica». È questo il Vangelo secondo Pippo Delbono, in linea con il suo teatro e cinema fisici, intensi, carnali.
Questi fantasmi. Vogliamo segnalare un cortometraggio in concorso nella sezione Orizzonti: è Stanza 52, esordio alla regia di Maurizio Braucci. Braucci è uno degli sceneggiatori di punta del nuovo cinema italiano, da Matteo Garrone (Gomorra, Reality) al cinema del reale di Leonardo Di Costanzo (L’intervallo) e Alessandro Rossetto (Piccola Patria), più il Pasolini di Abel Ferrara e Anime nere di Francesco Munzi, con cui ha vinto un meritato David di Donatello. Stavolta passa dietro la macchina da presa, per la piccola storia d’una cameriera d’un albergo di lusso (Vincenza Modica), che interroga delle presenze ultraterrene in una stanza dell’hotel. Surrealismo, sì, ma il rapporto con aldilà e defunti è un elemento ben radicato nella cultura napoletana. “Nasce come testo teatrale all’interno di uno spettacolo scritto 4 anni fa – ha detto Maurizio Braucci – Avevo il bisogno di dire la mia sulla ormai prevalente raffigurazione a tinte fosche di Napoli come luogo di colpe e di pene. Do la mia versione con una breve storia fantastica di ispirazione eduardiana”.
Oggi c’è anche L’uomo che non cambiò la storia di Enrico Caria, il documentario – proiettato fuori concorso in collaborazione con le Giornate degli Autori – che racconta la vicenda dell’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli che fece da guida a Hitler e Mussolini in occasione del primo viaggio in Italia del Führer, un film di cui OM ha già diffusamente parlato in questo articolo.