Protagonista della masterclass coi ragazzi del Giffoni Film Festival, Paolo Genovese è decisamente il regista dell’anno. Il suo Perfetti sconosciuti è stato un grandissimo successo, che ha messo d’accordo il pubblico – oltre 17 milioni di euro di incassi – e gli esperti, con il David di Donatello vinto come miglior film italiano dell’anno.
Paolo Genovese nel parlare coi ragazzi è affascinato dalle raffinate interpretazioni che propongono del film, molte delle quali vanno al di là delle stesse intenzioni esplicite del regista. “Ma è normale, ognuno legge a proprio modo un film, e non vuol dire che esista un’interpretazione giusta e una sbagliata” – dice Paolo Genovese.
E aggiunge un aneddoto paradossale: “Il mio primo cortometraggio, Incantesimo napoletano, girato con Luca Miniero nel 1998, fu con mia grande sorpresa selezionato al prestigioso festival di Locarno. Arrivo emozionatissimo nella grande piazza di Locarno per la proiezione. Dramma: errore del proiezionista che sbaglia il mascherino, per cui il corto risulta completamente sfocato. Mi veniva da piangere, me ne tornai a Roma molto depresso”. Ma cosa succede? “Qualche giorno dopo – continua Paolo Genovese – mi arriva una telefonata, dovevo tornare a Locarno perché il corto aveva vinto il festival. Motivazione ufficiale? “Aver avuto il coraggio di raccontare il disagio della protagonista attraverso l’espediente del fuori fuoco”. Lì ho capito che davvero tutto è relativo”.
Perfetti sconosciuti è una commedi amara, che racconta la cena tra un gruppo di amici che deflagra in un dramma collettivo per colpa delle vite segrete nascoste nei cellulari. Come è nato il progetto? “La prima suggestione – racconta Paolo Genovese – era legata a una frase di Gabriel García Márquez, che ha scritto che “Ognuno di noi ha tre vite, una privata, una pubblica e una segreta“. Mi colpì l’idea della vita segreta, ma per molto tempo non ero riuscito a trovare un punto di vista originale per svilupparla. Poi successe che una persona che conoscevo ebbe un incidente in motorino, nulla di grave, però fu condotto in ospedale e i suoi effetti personali, tra cui il cellulare, furono consegnati alla moglie. La quale sul telefonino scoprì un mondo: l’amante, un’altra casa, una vita parallela. E commentando quell’evento a cena insieme agli amici ho capito che non si trattava d’un caso straordinario. Avevo finalmente un punto di vista”.
Ambientato tutto nello spazio angusto di una casa, Perfetti sconosciuti è un film d’attori: un cast corale, da Valerio Mastandrea ad Alba Rohrwacher, Anna Foglietta e Marco Giallini, Kasia Smutniak, Edoardo Leo e Giuseppe Battiston. Come si fa a gestire un gruppo così? “Non nascondo – ammette Paolo Genovese – che per quanto riguarda la direzione degli attori questo è stato il mio film più difficile. Sei sempre faccia a faccia con sette attori, incattiviti da sei settimane di gnocchi, sempre gli stessi, e del vino che in realtà è succo di mirtilli. Poiché non amo il teatro di posa ho girato in location in tempo reale, cioè giravamo di notte. E gli attori erano esigentissimi, ogni sera mi tempestavano di domande sui loro personaggi e io ero costretto ad arrivare sempre preparatissimo”.
Per trovare la chiave giusta per raccontare la storia Paolo Genovese ha fatto una cosa singolare: “Ho fatto una esperimento che ripeterò per i prossimi film. Ho preso sette attori giovani e ci siamo chiusi in un teatro per tre giorni. Due per studiarci la sceneggiatura, il terzo per recitarla. È stato utilissimo, mi ha aiutato a capire cosa funzionava e cosa no”.
Enorme successo dicevamo. Ma in partenza la situazione era ben diversa. “Perfetti sconosciuti non voleva farlo nessuno – sottolinea Paolo Genovese – Se dici ai produttori che vuoi raccontare la storia di sette persone che stanno intorno a un tavolo per un’ora e mezza, ti chiedono immediatamente: ma non succede nient’altro? Erano molto dubbiosi, ma poiché avevo alle spalle dei film di successo, ho avuto il coraggio di rischiare”.
Ovviamente adesso, come spiega Paolo Genovese ai microfoni di OM, la situazione è ben diversa. “I produttori mi hanno chiesto di tutto: Perfetti sconosciuti 2, 3, il libro, la serie tv. Io in linea di principio non sono contrario ai sequel o alle derivazioni in altre forme mediatiche. Però deve essere perché hai ancora qualcosa da dire e non solo per sfruttare il successo. Nel caso di Perfetti sconosciuti, il film racconta tutto quello che avevo da dire. E quindi ho rifiutato qualunque proposta”.