Un boato dei ragazzi del Giffoni Film Festival accoglie Gabriele Mainetti, l’acclamato regista di Lo chiamavano Jeeg Robot. Era prevedibile, visto l’immaginario fumettistico su cui si regge il film, perfettamente in sintonia con le predilezioni dei giovani. Ma l’operazione del regista romano ha un respiro anche più ampio, annodando con grande intelligenza ispirazione pop e tensione realista, frullati attraverso una sensibilità che ha accenti romantici e un lirismo che posa sui personaggi uno sguardo sempre umanissimo e non giudicante.
Ed è proprio dalle curiosità relative ai personaggi principale di Lo chiamavano Jeeg Robot che è cominciato il dialogo tra Gabriele Mainetti è la platea del Giffoni Film Festival. Primo, lo Zingaro, il cattivo intrepretato magistralmente da Luca Marinelli: “ Lo Zingaro è molto amato perché ha una vulnerabilità che ci riguarda tutti – esordisce il regista –, lui ha bisogno di mettersi in vetrina, posta su youtube i suoi video. Subisce la grande nevrosi contemporanea del like, che è un problema generalizzato. Però non ho voluto sottolineare questo elemento per fare una denuncia di un male contemporaneo: era un espediente per raccontare un cattivo diverso, che possedesse una sua sensibilità e ambiguità. È anche la ragione della sua sessualità poco definita. È un uomo che ha disperatamente bisogno di essere amato, che il punto di debolezza dell’uomo d’oggi. Per questo dico che Lo chiamavano Jeeg Robot è un film sull’identità”.
Dopo il cattivo l’eroe: l’Enzo Ceccotti di Claudio Santamaria, il borgataro sociopatico che scopre di avere un’anima. “Lui è un uomo che non crede più in se stesso – continua Gabriele Mainetti – e per questo la sua identità va in pura rarefazione. È solo quando si relaziona ad Alessia che rientra in contatto con il suo mondo emotivo, e allora si ritrova. Quando lei piange, Enzo si accorge che non è una stupida, ma vive un dolore in cui anche lui si riconosce. Allora l’abbraccia: e a quel punto non si stacca più. Accorgendosi di lei si accorge anche del mondo intorno a lui. E infatti quell’abbraccio rimanda all’abbraccio finale dato a tutta la città. È questa la ragione per cui ho scelta Jeeg Robot e non Mazinga o Goldrake. Perché il personaggio di Hiroshi Shiba quando si trasforma in Jeeg è solo una testa, ed è Miwa a ordinare alla base di lanciargli i componenti, cioè le altre parti del corpo. Per questo Alessia la prima volta che lo incontra dice che vuole lanciare i componenti. Senza Alessia, Enzo non si può ricomporre”.
Un altro aspetto su cui Gabriele Mainetti viene stimolato è la sfida produttiva di un film completamente fuori dai canoni del cinema italiano. “Non era semplice realizzare un progetto del genere. Perché quando vai da un possibile produttore e gli dici che vuoi fare un film su un supereroe di Tor Bella Monaca, con una mezza psicopatica che proietta su di lui il mondo di Jeeg Robot d’acciaio e un cattivo pazzo che canta le canzoni delle icone pop anni Ottanta, quello ti guarda e ti fa: “Ma che stai dicendo?”. Perciò – continua Gabriele Mainetti – devo ringraziare l’intervento di Rai Cinema, perché hanno lanciato il film e mi hanno permesso di chiuderlo. Anche se poi, coproduttivamente, sono intervenuti per il dieci percento. E quindi avendo il 90 percento mi sono sentito abbastanza libero di fare quello che volevo, e anche quando mi dicevano che c’era una scena troppo violenta o troppo sesso io ho tirato dritto per la mia strada”.
Ovviamente la domanda sulle labbra di tutti, non solo i ragazzi del Giffoni Film Festival, è una sola: ci sara Jeeg Robot 2? “Purtroppo no – taglia inizialmente corto Gabriele Mainetti –, mi devo emancipare ragazzi, devo crescere, non posso andare avanti coi cartoni animati! Però devo specificare. Io ho rilasciato recentemente un’intervista al Fatto Quotidiano, peraltro molto bella, dalla quale però si capisce che io non farò mai il sequel di Lo chiamavano Jeeg Robot. Non è così. Il punto è che sono da sei anni dentro il mondo di Enzo Ceccotti e ispirarsi ancora a quell’universo non è semplice. Però mai dire mai. Non è un no definitivo”.
https://youtu.be/C5ETkvhhxxY
Sospiro di sollievo del pubblico. La questione, insomma, non è che Gabriele Mainetti voglia abbandonare per sempre il suo eroe. Però in questo momento ha l’esigenza di andare in un’altra direzione. Quale? “Proverò a giocare con delle tematiche nuove – dice Gabriele Mainetti –, farò un film che sarà un melting pot di generi. Vediamo che ne viene fuori, spero sia bello. Ma sono terrorizzato. Non del fatto che sia il secondo film e quindi tutti mi aspettano al varco. Ho paura, come è stato per Jeeg, perché è un progetto che mi emoziona ma non riesco ancora a visualizzarlo, non ho idea di come lo realizzerò. Quando ho presentato il progetto a un possibile coproduttore lui mi ha detto “Molto coraggioso, però sarebbe meglio come terzo, quarto film”. E lì ho capito che devo assolutamente farlo”.