Non è la prima volta che arriva notizia del blocco WhatsApp in Brasile. Il motivo? Sempre lo stesso, ovvero la mancata volontà da parte del client di messaggistica istantanea (che solo localmente conta 93 milioni di utenti) di diffondere i dati dei propri utilizzatori nell’ambito di un’indagine penale volta a sgominare un grosso traffico di droga.
Nulla hanno potuto per opporsi al provvedimento i cinque operatori telefonici nazionali (Nextel, Vivo, TIM, Oi e Claro), che altrimenti sarebbero costrette a versare una somma quotidiana di circa 150 mila euro.
La sentenza sul blocco WhatsApp in Brasile (dalla durata di 72 ore) affonda le sue radici nella sentenza emessa lo scorso 26 aprile 2016, a cura del giudice Marcel Montalvão, lo stesso che aveva predisposto l’arresto, di un solo giorno, di Diego Dzodan, vicepresidente di Facebook per l’America Latina (sempre per motivi legati alla mancata collaborazione dell’azienda in indagine di natura penale).
Il blocco WhatsApp in Brasile la prima volta (ve ne parlammo qui) era stato predisposto lo scorso dicembre, per la durata di 48 ore, cui ne seguì una seconda a febbraio, nel tentativo di rimozione di alcuni scatti espliciti di bambine e minorenni (prostituzione minorile).
Come già successo, immaginiamo già le critiche e le polemiche che pioveranno sulla decisione del blocco WhatsApp in Brasile, dove il servizio, come vi dicevamo, viene utilizzato da 93 milioni di persone (molte delle quali non hanno altro modo per comunicare viste le pessime condizioni economiche in cui versano). C’è poco da fare a riguardo, il provvedimento disciplinare è ormai stato preso: per 72 ore si resterà a secco e la popolazione dovrà necessariamente ricorrere ad altre piattaforme per inoltrare e ricevere messaggi.