Quando uscì Il giustiziere della notte, le reazioni furono molteplici e sicuramente proporzionate al successo commerciale del titolo in questione: non poche critiche, sia positive che negative, in linea con ciò che poi si delineava come punto di dibattito, come centro della questione. Il film probabilmente al pari di altri lavori simili nel genere, era infatti forse quello che meglio incarnava aspirazioni, desideri e, più che altro, frustrazioni di un ceto medio che si sentiva poco protetto in termini di sicurezza personale. La microcriminalità, da un punto di vista che potrebbe definirsi strategico, cominciava in quegli anni ad espandere la sua non logica, legata soprattutto ad una capillarità della violenza disinibita e priva di qualsiasi remora o fondamenta. Forse anche per questo la notizia che Bruce Willis si appresta a far rivivere il mitico personaggio che fu di Charles Bronson, non sorprende poi più di tanto (si parla di ieri, ma è come se fosse oggi).
Sono queste infatti le ultime voci che riguardano questo reboot, ormai chiacchierato già da qualche anno, e che indicano al fianco di Willis la coppia di sceneggiatori e registi israeliani Aharon Keshales e Navot Papushado, come cabina di comando totale sulla produzione del lungometraggio (in Italia e nel mondo si sono fatti conoscere con Big Bad Wolves una sorta di dark comedy che narra di una lunga vendetta che prende inizio dopo un caso di pedofilia). Rimane forte la curiosità di sapere se davvero questa sarà un reale inizio del progetto o un’altra falsa partenza come accaduto poco tempo fa: Bruce Willis stesso è stato in passato motivo di abbandono del progetto da parte di Joe Carnahan, inizialmente candidato alla regia (allo stesso seguì poi anche il nome di Gerardo Naranjo, ma comunque non se ne fece niente).
Cosa potrebbe significare questa candidatura dell’ex inossidabile Willis per questa classica fobica trasposizione pseudo reazionaria della middle class newyorchese, dall’apprezzabile gusto vintage? Da una parte c’è il tentativo chiaro, la speranza di ridare forma e sostanza ad un attore da un bel po’ caduto nell’inesorabile e claustrofobico dimenticatoio Hollywoodiano, dall’altra c’è forse la volontà di dare nuovo slancio ad un genere che, proprio con Il giustiziere della notte, cominciò a diffondere un ascendente carismatico presso il pubblico di massa, dal sapore amarostico di sangue, vendetta e giustizia personale. Se a questo poi aggiungiamo il trend ormai inarrestabile di rimettere mano a classici del passato, all’insegna dell’action e del ridondantepacchianosparatutto (leggi The expendables per esempio…), diciamo che il quadro d’insieme della produzione MGM assume sicuramente contorni più nitidi. Anche se la stessa Major avrebbe dato indicazione in merito di cesellare una trama molto più introspettiva e fedele al best seller di Brian Garfield del 1972 piuttosto che alla pellicola diretta da Michael Winner nel 1974. Sarà. Io, sinceramente, ad una riflessione più accurata per quanto riguarda pathos e ambientazione della sceneggiatura, sulla sedia di regista ci vedrei molto bene Donald Trump. Parrucchino a parte. Quello farebbe perdere di credibilità il tutto.