Le prime reazioni a Zoolander 2 di fan e critici sono state decisamente dure. Ma non è da escludere che il suo destino sarà lo stesso del capostipite, che quando uscì nel 2001 – con una tempistica infelice, subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle – passò praticamente inosservato, e poi a partire dal mercato dell’home video ha costruito la sua fama di cult.
Un cult dalla comicità trash e camp che il secondo episodio eredita, spingendosi persino oltre, con la vicenda di Derek Zoolander (Ben Stiller, anche regista e co-sceneggiatore) e Hansel (Owen Wilson), i supermodelli “belli belli in modo assurdo”, che ormai hanno abbandonato da anni la moda e vengono richiamati a Roma per quello che sembra un rilancio in grande stile da Alexanya Atoz (Kristen Wiig), la nuova regina del fashion (dietro cui si nasconde l’arcinemico Jacobim Mugatu di Will Ferrell).
All’inizio di Zoolander 2 Derek vive in una baita isolato dal mondo per espiare la colpa della morte della moglie nel crollo dell’istituto per bambini da lui fondato (franato perché è stato costruito coi materiali impiegati per i modellini in scala!). Hansel invece, sfigurato nello stesso incidente, s’è installato nel deserto insieme a un gruppo di persone molto eterogeneo con cui vive in una condizione di poliamore (le mette contemporaneamente incinta tutte, maschi e femmine!).
Insomma da subito il film esibisce la paradossalità di una sceneggiatura che accumula materiali disparati, citazionista e disinibita. Al punto che, di volta in volta, Zoolander 2 sembra: un James Bond movie, nel prologo con l’inseguimento di Justin Bieber, che moribondo posta l’ultimo selfie; una storia alla Star Wars, con al centro il tema del rapporto padri-figli (Derek vuole riconquistare l’affetto di Derek jr., Hansel è alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto) e i cavalieri Jedi della moda che invece della Forza hanno lo sguardo Magnum; una specie di Vacanze romane mescolato con Il codice da Vinci, che usa Roma come smagliante fondale da spot turistico – tra Pantheon, Colosseo e Palazzo della Civiltà (sede dell’impero della Atoz) – e luogo catacombale per il complotto ordito dai cattivi incappucciati come templari (alle Terme di Caracalla); c’è persino un po’ di commedia sexy anni Settanta, con vistose erezioni sotto i pantaloni e zuffe tra donne inquadrate come la Fenech sotto la doccia.
Naturalmente, prima di ogni altra cosa Zoolander 2 è un film sulla moda, di cui non è una parodia, ma semmai una versione, giusto un po’ estremizzata, di ciò che il fashion rappresenta davvero. Perché non è così incredibile uno stilista come Don Atari (Kyle Mooney), che ha imposto una moda spazzatura fondata sul riciclo totale, in cui la bruttezza diventa il canone della nuova bellezza e ogni cosa è allo stesso tempo cool e non cool (infatti il suo quartier generale è nel “Palazzo di cacca”, fatto di escrementi). Una coincidenza degli opposti che trova l’espressione più inquietante in Tutto (cameo straordinario di Benedict Cumberbatch), supermodello né maschio né femmina, sposato con se stesso (nell’Italia di Zoolander 2 si può), che parlando di sé dice “Tutto non è definibile con concetti binari”. Ed è lo stesso mondo in cui la Global fashion division della polizia, per cui lavora l’agente speciale Valentina Valencia (Penélope Cruz, che con la sua bellezza latina e autoironica dà al film una spruzzata vintage à la Dolce vita), è installata nella sede romana della griffe Valentino.
Zoolander 2 della moda riproduce non solo tic e bizzarrie, ma la sua essenziale filosofia del narcisismo, del mondo che si mira allo specchio e lascia perdere tutto il resto. Derek e Hansel nei momenti più concitati e meno opportuni si fermano a discutere tranquillamente dei fatti loro, restando attoniti di fronte alle immagini di se stessi. A questo narcisismo resta incatenato il film, che come i supermodelli idioti si attarda a guardare compiaciuto il riflesso delle proprie belle inquadrature e dimentica di raccontare una storia passabilmente plausibile.
Zoolander 2 ha la struttura di una sfilata di moda (non a caso è stato lanciato durante una sfilata), in cui il piacere non deriva dagli snodi narrativi, ma dai numeri sulla passerella. Sulla quale ci sono tutti, in una gara al cameo più sorprendente, da Sting a Susan Sarandon e, soprattutto, il cast al completo dei veri guru del fashion, Anne Wintour, Tommy Hilfiger, Mark Jacobs, Valentino. Che hanno capito benissimo che il film non è una presa in giro, ma l’apoteosi della moda e quindi hanno fatto a gara per essere presenti.
Conclusione: Zoolander 2 non è certamente un bel film, ma non si preoccupa nemmeno di esserlo, perché teorizza, come Don Atari, che tra bello e brutto non ci sia più alcuna differenza. Che abbia ragione?