Quo vado?, uscito il primo gennaio, ha da poco superato la soglia dei 9 milioni di spettatori e 64 milioni di euro. Per questo Canale 5 approfitta dell’onda lunga del fenomeno Checco Zalone e, dopo aver già trasmesso Sole a catinelle, mette in programmazione per stasera il secondo film del comico pugliese, Che bella giornata, che dopo gli incoraggianti 14 milioni del primo film, Cado dalle nubi, ottenne un exploit al box office da oltre 43 milioni.
È difficile, parlando di Checco Zalone, al secolo Luca Medici, non soffermarsi sugli impressionanti dati quantitativi, che hanno spinto diversi analisti, in occasione del successo di Quo vado?, a risalire ai dati storici degli incassi per capire se e quando ci fosse stato qualcosa di paragonabile. Una ricerca condotta da “Tv Sorrisi e Canzoni” ha stabilito che il film italiano più visto di sempre è Ultimo tango a Parigi, 15,6 milioni di spettatori, sopravanzato solo dall’americano Guerra e pace, 15,7 milioni in un’epoca, il 1955, in cui in Italia si staccavano 800 milioni di biglietti, e non i 100 scarsi di oggi. Queste comparazioni talvolta sono sembrate quasi malevole, come se si volessero sminuire i risultati di Zalone. Strano paese questo, in cui un successo che può solo far bene all’industria cinematografica nazionale rischia di essere additato con sospetto.
Al netto di invidie e perplessità, la messa in onda di stasera di Che bella giornata è un’ottima occasione per continuare a riflettere su Checco Zalone (senza dimenticare la solida squadra che è dietro il suo cinema, Gennaro Nunziante alla regia e Pietro Valsecchi alla produzione), per apprezzare i progressi compiuti nella definizione di un personaggio che sta acquisendo i tratti di una (consapevole) maschera che sintetizza le caratteristiche dell’italiano medio. Il Checco di questo film è l’esemplare idealtipico di un compatriota ignorante, maleducato, a caccia di privilegi (vuole diventare carabiniere solo per i vantaggi che comporta) e raccomandazioni (che puntualmente otterrà).
Checco Zalone è guidato da un’ideologia della scorciatoia, un individualismo spicciolo alla ricerca del sotterfugio per saltare la fila e ottenere vantaggi felicemente immeritati. Il problema, e qui sta la lucidità dell’assunto, è che la sua non è una filosofia personale, ma un principio che dilaga in una società che non apprezza le regole della convivenza civile. Per cui, sebbene Checco sia l’esemplare di italiano più rozzo e impresentabile, la realtà che lo circonda non è molto migliore di lui. Tutt’altro: dall’alto prelato (Tullio Solenghi) che lo raccomanda senza complessi, al padre (Rocco Papaleo) che dichiara apertamente di aver scelto la vita militare solo per pagare il mutuo, il paese dimostra una preoccupante uniformità.
Tra una battuta e l’altra, e anzi proprio grazie all’apparente leggerezza di una comicità che non si risparmia antichi tormentoni dialettali, Checco Zalone riesce a far passare tutta la sostanza allarmante della sua analisi un po’ qualunquista ma esatta dell’Italia di oggi. Le gag talvolta barzellettistiche di Checco quindi non restano fini a se stesse, ma costituiscono il lasciapassare per un discorso più corposo sugli stili di vita del belpaese. E la consapevolezza di questo tipo di scelta è semmai dimostrata dall’affinamento della comicità, che in Sole a catinelle e Quo vado? ha ispessito il realismo di fondo e controllato sempre più l’uso del macchiettismo puro e semplice.
Negli ultimi due film Luca Medici va oltre il ritratto ancora generico di certi vizi italici, per parlare con maggiore consapevolezza politica di temi meglio definiti, lavoro, fabbrica, classi sociali, emigrazione. Il tono resta ridanciano e paradossale, ma la volontà di graffiare emerge più chiara. E oggi non ripeterebbe l’errore di Che bella giornata di mettere in scena dei terroristi islamici così sprovveduti e poco credibili (l’elemento più debole del film). Perché la verosimiglianza della rappresentazione è un elemento indispensabile per sostanziare un discorso satirico sulla contemporaneità. Che, altrimenti, rischierebbe di scadere nell’inerzia della favola inoffensiva tipica di fin troppi film comici italiani, da Pieraccioni a Siani. Ma Zalone è di un’altra pasta.