Come evento speciale, in occasione delle commemorazioni del Giorno della Memoria, la Lucky Red distribuisce al cinema dal 25 al 27 gennaio The Eichmann Show – Il processo del secolo di Paul Andrew Williams. Il film ricostruisce un avvenimento clamoroso: dopo la sua cattura in Argentina da parte dei servizi segreti israeliani del Mossad, l’11 aprile del 1961 cominciò a Gerusalemme il processo a carico di Adolf Eichmann, ex SS ricercato in quanto responsabile logistico del trasferimento ferroviario degli ebrei ai campi di concentramento per la soluzione finale.
Per la prima volta un criminale nazista subiva un processo in Israele, e per la prima volta questo avvenimento veniva ripreso dalla televisione. Perché, e qui comincia la storia raccontata da The Eichmann Show, il produttore televisivo Milton Fruchtman (Martin Freeman) convinse le autorità israeliane e i giudici della necessità di rendere pubblico il dibattimento. Anche per questo il processo Eichmann resta una delle vicende capitali del Novecento: perché allora, per quanto incredibile possa sembrare nel nostro tempo devoto alla religione della memoria, la conoscenza dello sterminio era assai limitata, anche a causa di comprensibili processi di rimozione collettiva delle violenze commesse (sul tema si veda anche, ancora nei cinema, il film di Giulio Riccarelli, Il labirinto del silenzio, che racconta i meccanismi di negazione della colpa del popolo tedesco).
Trasmesse in più di trenta paesi in tutto il mondo, le riprese televisive del processo rappresentarono uno shock e obbligarono a riconsiderare la centralità della memoria nella vita pubblica. I reduci e testimoni della Shoah, per lungo tempo poco ascoltati e ancor meno creduti, trovarono finalmente, grazie all’enorme impatto delle drammatiche vicende trasmesse in tv, uditori sensibili ai loro racconti dolorosi e doverosi, aprendo idealmente quella che la storica Annette Wieviorka ha definito “l’era del testimone”.
Un altro aspetto sinistro del processo era legato alla figura controversa di Eichmann: che non aveva le fattezze del gerarca fanatico, ma sembrava un anonimo e tranquillo funzionario. Un buon esecutore degli ordini, rispettoso della legge e della ragion di Stato: per questo espressione, come lo dipinse la filosofa Hannah Arendt in una definizione destinata a divenire celebre, di una “banalità del male” persino più inquietante della violenza perpetrata da criminali sanguinari.
L’aspetto più interessante di The Eichmann Show, che nasce come film televisivo e ne soffre una certa didascalica programmaticità, sta nella sua capacità di concentrarsi soprattutto sulla seconda parola del titolo. Su Eichmann e sul processo esistono infatti già molti film, pensiamo solo al ritratto della Von Trotta sul reportage della Arendt e soprattutto al documentario Uno specialista, che racconta il dibattimento attraverso materiali di repertorio. Invece The Eichmann Show si focalizza lucidamente sul processo in quanto “spettacolo”: e spettacolo di straordinario successo, venduto alle televisioni di tutto il mondo, a conferma della eccellente intuizione “commerciale” di Fruchtman. Il quale chiamò a dirigere le riprese il regista statunitense di origini ebraiche Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia), che per dieci anni era stato discriminato dalla caccia alle streghe del senatore McCarthy contro i comunisti americani.
Il processo, una volta in tv, diventa una questione di numeri e audience: lo si capisce quando, nel momento in cui Fruchtman sostiene che solo la tv è in grado di offrire una copertura dell’evento, sulle sue parole scorrono immagini di spot televisivi, a sottolineare quanto sia determinante l’aspetto commerciale. E quando Hurwitz – che mantiene spesso il primo piano su Eichmann per la sua ossessione di cercare di capire che razza d’uomo sia quello – si perde lo svenimento di un teste provato dalla propria testimonianza, Fruchtman va su tutte le furie, perché si è appena sprecata una grande occasione drammaturgica che avrebbe fatto schizzare in alto l’indice di gradimento.
The Eichmann Show non vuole però denunciare alcuna ipocrisia del sistema: semmai tiene conto dell’intrinseca natura compromissoria dei mezzi di comunicazione, la televisione, la carta stampata e lo stesso cinema, che appartengono contemporaneamente al mercato e alla cultura e offrono nei casi migliori un fondamentale servizio di informazione caratterizzato da un’intrinseca percentuale di spettacolarità. E perciò sta soprattutto a chi fa quel mestiere svolgerlo in modo che l’aspetto spettacolare non fagociti l’esigenza di verità. Che è esattamente il modo in cui vive la professione Hurwitz, convinto che lo sguardo della telecamera, radiografando il volto e gli atteggiamenti di Eichmann, possa svelare l’enigma di un individuo che non sembra appartenere al consesso umano.
The Eichmann Show non si sottrae a un certo didatticismo di fondo, con i due protagonisti a incarnare in maniera un po’ elementare le due anime – se non conflittuali, complementari – dei mezzi di comunicazione. Ma è un film di cui si apprezza la sostanziale onestà di rappresentazione e risponde egregiamente all’esigenza propria del Giorno della memoria di “non dimenticare”.
https://youtu.be/FwUyK99dE2c