Claudio Caligari ha fatto solo tre film in trent’anni: Amore tossico (1983), L’odore della notte (1998) e quest’ultimo Non essere cattivo (2015), passato fuori concorso al festival di Venezia, girato quand’era già malato grazie alla caparbietà di Valerio Mastandrea, che l’ha aiutato a realizzarlo prima di morire.
Ostia, 1995: Cesare e Vittorio (Luca Marinelli e Alessandro Borghi, davvero bravi), amici di borgata da sempre, campano di furti e spaccio, due esistenze senza via d’uscita, consumate alla giornata tra l’attesa di qualcosa seduti al tavolino del bar, le bravate, le sniffate. Vittorio ci dà un taglio, trova una donna e si mette a lavorare. Cesare no, lui continua la vita di sempre: perché vuole i soldi, perché la nipotina malata ha bisogno di cure, forse perché è l’unica cosa che sa fare. Semplicemente, non ha un altro orizzonte possibile: al massimo c’è quello del mare di Ostia, che è meglio lasciar perdere (“Nun lo guardà, che te vengono i pensieri”, gli dice un amico).
Dentro Non essere cattivo (è la frase sulla maglietta dell’orsacchiotto di peluche che Cesare regala, rubandolo, alla bambina) ci sono i temi cari a Caligari: borgate, violenza, tossicodipendenza, vite senza seconda occasione, raccontate mescolando il tono picaresco di Amore tossico con la ferocia della storia di malavita de L’odore della notte. Ne esce un film che non assomiglia a nessun altro: con una firma da cinema d’autore (di cui possiede la coerenza dello sguardo ma non i vezzi stilistici) e la laconicità del cinema di genere (una storia criminale intinta nel melodramma).
Il regista racconta cose che conosce bene, mantenendo tre punti fermi, che ritornano da un’opera all’altra: Ostia, Pasolini e Scorsese. Ostia è il doppio speculare di Roma, che col suo degrado fa vedere nitidamente la gabbia in cui si dibatte il sottomondo proletario, senza il luccichio della grande bellezza capitolina a distrarre, e illudere. Pasolini è l’intellettuale che nelle borgate ha trovato la poesia della realtà e di persone da raccontare con sguardo partecipe e comprensivo. Infine Scorsese: che s’è immerso autobiograficamente in un luogo lontano eppure così simile, la Little Italy newyorkese, riemergendone con storie umanissime di malviventi e sbandati, osservati con lucidità d’antropologo.
Caligari condensa lo stile dei suoi maestri, temperando l’affetto talora idealizzato del poeta italiano con la brutalità iperrealista del regista statunitense, che racconta senza adesione la violenza dei gangster. Non essere cattivo è davvero una storia alla Scorsese: perché la vicenda di Vittorio e Cesare ricalca quella di Mean Streets, in cui Charlie (Harvey Keitel), non ce la fa a sottrarre lo scapestrato Johnny Boy (Robert De Niro) al suo destino.
Caligari mantiene la giusta distanza da quelle vite criminali, ma non nasconde la pietas istintiva per i suoi ragazzi e ragazze rabbiosi, smarriti e dolenti in un mondo che non contempla opportunità di riscatto. Alla fine però lo sguardo del regista s’intenerisce: e il sorriso dolce e buono di Vittorio mentre osserva la prossima generazione fa sperare che stavolta qualcosa accadrà.
https://youtu.be/K1p-ulARNHc