Federico Fellini è un regista in crisi che riflette sulla propria impasse creativa facendo un film che ha per protagonista un regista in crisi che riflette sulla sua impasse creativa facendo un film. Come scrisse Christian Metz, con 8 ½ “non abbiamo soltanto un film sul cinema, ma un film su un film che a sua volta verte sul cinema”. Quindi l’autore Fellini e il personaggio Guido (Marcello Mastroianni) sono la stessa persona. Guido cioè, non è un doppio in cui il regista riminese riversa tracce sparse della propria autobiografia, ma è, letteralmente, Fellini. Per una volta Federico dice la verità, nuda e cruda. E lo ammette pure, per bocca di Guido: “Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi pareva di avere qualcosa di così semplice da dire, un film che potesse essere utile un po’ a tutti”.
Solo che, naturalmente, trattandosi di un cineasta con una propensione istintiva al travestimento e all’invenzione fantastica, la verità e l’autobiografia non si traducono in un racconto cronachistico d’una vita d’artista, ma prendono la forma d’un capriccioso arabesco. Che non espone fatti nudi e crudi, bensì fatti filtrati dalla memoria immaginativa del suo autore, impastati di desideri, sogni, proiezioni, incubi, aspirazioni.
La storia quindi accumula materiali eterogenei, come eterogenei sono i personaggi e le loro funzioni: alcuni sono simboli, come Claudia Cardinale, impalpabile apparizione che incarna la “purezza”; altri materializzano fantasmi del passato, come i genitori di Guido o la Saraghina, iniziazione al mistero della sessualità di Fellini bambino; altri ancora, più realisticamente, mettono in scena quel sottobosco di attori maestranze produttori di cui è fatto il mondo del cinema.
Fellini-Guido tiene insieme questo caravanserraglio – se serve usando la frusta –, fedele al principio della totale sincerità. Come nella sequenza in cui un cardinale chiede a Guido se ha figli, e lui risponde, con un lapsus, “Sì… cioè no”; perché effettivamente Fellini ebbe un figlio che morì dopo pochissimi giorni, e dunque la risposta è assolutamente onesta.
È tutto vero in 8 ½, film nel quale persino l’amante del protagonista è interpretata dall’amante di Fellini, Sandra Milo. Ma è la verità del vissuto interiore, che coglie la realtà a un diverso grado d’esistenza, in cui sogni e cose concrete, ragioni ed emozioni si sovrappongono in maniera inestricabile. Un racconto che mescola le carte, anche per ragioni espressive: “Il film era una confessione sincera, anzi sincerissima – ribadì Fellini in un’intervista –, pur se con quel tanto di artificio, con quel tanto di trucco nobilissimo che un uomo che si mette di fronte agli altri per raccontare una cosa deve necessariamente mettere in opera per poter comunicare”.
Dopo La dolce vita, il saggio antropologico sull’Italia del boom economico, Fellini si accomoda sul lettino dell’analista e si concentra su quel singolare individuo che è lui stesso, lasciandosi libero d’inseguire ricordi, associazioni, istinti. Una sorta di monologo ad alta voce, per questo anche compiaciuto, narcisistico, autoassolutorio, in cui un io ipertrofico e infantile vede tutto e tutti unicamente attraverso il proprio punto di vista. E perciò Fellini-Guido assume coerentemente come forma di espressione preferita il sogno, nel quale, come ci ricorda Freud, qualunque personaggio incarna un aspetto dell’io che sta sognando.
Un film così, privo di storia, senza un protagonista accattivante, tutto ripiegato sul cinema che riflette su se stesso, sarebbe stato inimmaginabile pochi anni prima. Ma tra fine anni Cinquanta e primi Sessanta si era affermato il “cinema d’autore” – Nouvelle Vague francese, Free cinema inglese, Bergman in Svezia e Antonioni, Fellini, Visconti in Italia –, capace di imporre storie adulte, dalla struttura elusiva e complessa.
Un nuovo stile nel quale i registi diventavano persino più importanti degli attori. E nessuno era più importante di Fellini, trasformato da La dolce vita in un divo di fama planetaria, un personaggio di cui il pubblico voleva conoscere vita privata, dubbi esistenziali, rovelli d’artista. Il regista risponde con il diario in pubblico di 8 ½. Che, a guardarlo bene, assolve pure alla funzione del rotocalco scandalistico, dato che non mancano i pettegolezzi sulla star del momento: tradimenti, crisi matrimoniale, immaturità, megalomania spendacciona, erotomania. E ogni dettaglio è vero, perché è tutto di prima mano, candidamente confessato dall’autore stesso.