Chi non vorrebbe essere Pierce Brosnan? Bello, di naturale eleganza, ha negli occhi un lampo avventuroso da “nostro agente all’Avana” mescolato a un’aria da uomo oltraggiosamente – per noi poveri mortali – a proprio agio, come stesse sempre a bordo piscina sorseggiando cocktail in compagnia di donne stupende.
Ne Il fidanzato di mia sorella, diretto da Tom Vaughan e prodotto dall’attore – si vede, la macchina da presa gli sta sempre incollata addosso –, gli sceneggiatori hanno pensato sarebbe stato divertente prendere quest’uomo straordinariamente blasé e infilarlo in disavventure che ne mettano in crisi l’imperturbabile sicurezza. E nasce Richard Haig, docente di letteratura a Cambridge con la passione per la poesia romantica e le studentesse, che ne ricambiano le attenzioni visto il fascino e lo stile anticonformista alla professor Keating dell’Attimo fuggente.
L’ultima conquista, la bellissima Kate (Jessica Alba), resta incinta. Richard la segue negli Stati Uniti, lasciandosi convincere dalla miglior battuta del film: “Ti piacerà Los Angeles, è una specie di Cambridge, in più ci sono le palme”. Qui cominciano le sciagure e, sempre secondo gli autori, il gran divertimento: vediamo Brosnan fare il professorucolo davanti a ragazzetti immersi nei loro smartphone che non lo degnano d’uno sguardo; Brosnan ubriaco che si rende ridicolo davanti a un gruppo di docenti universitari; che si fa arrestare, che viene espulso dagli Stati Uniti ritornandovi insieme a improbabili clandestini messicani!
E ve lo immaginate James Bond che frequenta un gruppo di recupero per bevitori, costretto a dire “Io sono un alcolista”? Bestemmia! Non finisce qui, perché c’è la famiglia: la giovane mogliettina che gli mette le corna e chiede il divorzio; l’appetitosa sorella di lei, Olivia (Salma Hayek) di cui l’impenitente dongiovanni s’innamora perdutamente; il padre assente ma petulante (Malcom McDowell) con cui è in costante conflitto; e il frugoletto col quale scopre responsabilità, gioie (e dolori) della paternità.
La programmazione estiva è quella che è, non si può andare troppo per il sottile, ma almeno due cose su Il fidanzato di mia sorella bisogna dirle. Primo: ci sono troppe idee rubate ad altri film: la gag della Hayek che simula orgasmi (stavolta maschili) è presa di peso, ovviamente, da Harry ti presento Sally: Brosnan che guida ubriaco viene da Intrigo internazionale; dell’Attimo fuggente c’è pure la solfa del carpe diem, in versione riveduta e poco oraziana (“Scopa e sii felice”); la scena del clandestino sta ne Lo spaccacuori (più divertente).
Il problema più grande, però, è un altro: nonostante gli sforzi, diciamo così, di autori e sceneggiatori di mettere a disagio il protagonista, Brosnan mantiene il suo stile impeccabile (e la sua unica espressione). A ogni cambio d’inquadratura indossa un nuovo abito, sempre inappuntabile. Persino dopo il viaggio clandestino non è neanche un po’ spiegazzato. Gli manca il ritmo del commediante, non possiede l’istinto dell’attore capace di farsi travolgere dagli eventi per il divertimento degli spettatori. Il risultato è una commedia letargica: perché, non ci voleva molto a capirlo, Brosnan non è Cary Grant.