Il mondo islamico è da sempre al centro degli interessi di Ernesto Pagano, una formazione d’arabista affinata in anni vissuti al Cairo, dove ha fatto il corrispondente per Ansa e Reset, e attualmente per Report. Da pochi giorni è nei cinema, con un’attenzione crescente, il suo primo documentario, Napolislam, recensito positivamente sul nostro magazine.
L’interesse è legato anche all’urgenza dolorosa dell’attualità, alla sequenza di attentati, in Tunisia, Somalia, Kuwait, che meno di una settimana fa hanno scosso lo scenario internazionale, riproponendo l’immagine di un inevitabile scontro di civiltà tra occidente e mondo arabo.
Il racconto di Napolislam, però, si muove in tutt’altra direzione, raccontando una storia d’integrazione, attraverso le vicende di dieci napoletani convertiti all’Islam in una città che sembra aver messo in moto un pacifico processo di convivenza. Perciò abbiamo voluto incontrare Ernesto, per capire se il modello virtuoso raccontato dal documentario sia davvero tale e quali siano, eventualmente, gli insegnamenti da trarre da questa esperienza.
Intanto il suo lavoro è stato tutt’altro che facile: “La parte più faticosa – dice infatti Ernesto – è stata guadagnarsi la loro fiducia, perché quando vai da un convertito dicendogli di essere un giornalista, vieni percepito come quello che vuole fare da megafono a un’idea paranoica e islamofoba, che perpetra lo stereotipo del fondamentalista e del terrorista”.
Il documentario tratteggia un’immagine di coesistenza, emersa naturalmente dalle storie: “Napolislam non è partito da un’idea politica, per dimostrare che l’integrazione è possibile. L’integrazione è ormai una realtà – ribadisce Ernesto – e certo questo dipende anche dalla natura di Napoli, con luoghi come piazza Mercato, dove c’è la moschea e contemporaneamente il culto della Madonna Bruna, che è un vero laboratorio d’integrazione”.
Una città, Napoli, che possiede una natura inclusiva tutta particolare: “Non è che Napoli sia una città che per forza include, spesso irride e respinge – puntualizza Pagano. Però ha la capacità di prendere qualunque oggetto e di osservarlo. Lo studia e poi decide se buttarlo via, se prenderlo in giro, fargli una carezza o un commento di apprezzamento. Accade di tutto nel processo di integrazione a Napoli. E secondo me questo modo di convivere è possibile solo qui. Per fare un paragone guardiamo a Parigi: lì il fenomeno, per carità, è molto più complesso, ma l’approccio alla questione è all’insegna della ghettizzazione”.
A Napoli, invece, può accadere che una pasticceria di piazza Garibaldi, con intuizione imprenditoriale, decida di fare sfogliatelle in versione halal, cioè senza strutto di maiale: “E la proprietaria – scherza Ernesto – mi ha detto che quando il Ramadan coincide con San Gennaro, diventa un inferno!”.
I recentissimi attentati però hanno scosso l’opinione pubblica internazionale, in particolare quello in Tunisia, nel quale le vittime sono state soprattutto turisti occidentali. E allora il teorema di Napolislam rischia di entrare in crisi, e sembrare troppo edulcorato rispetto alla realtà. “Il fatto di percepirlo come un documentario buonista e quasi filoislamico – ribatte Ernesto – dipende dallo sbilanciamento percettivo che c’è a monte. Nel senso che ogni giorno la tv collega tutto l’Islam al terrore e alla morte, e questo è legato al fatto che l’Isis, autoproclamatasi califfato, si è appropriato di tutto il vocabolario dell’Islam per portare avanti il suo progetto di morte”.
La verità però è un’altra, sostiene Ernesto: “C’è un’ignoranza totale del mondo musulmano, che al 99,9 percento non c’entra nulla con gli attentati in Tunisia o Charlie Hebdo a Parigi”.
Ma è molto più difficile raccontare questa realtà, perché non fa notizia: “In Napolislam la notizia è che i musulmani sono persone normali – conclude Ernesto. E per capirlo non c’è strumento migliore che frequentarli: partecipare all’Iftar, la cena di rottura del digiuno del Ramadan e fare due chiacchiere con loro. La conoscenza del lato umano può aiutare a ricalibrare la visione. È quello che fa Napolislam, raccontando storie di uomini e donne, coi loro problemi di lavoro, amore, dolore, gli stessi di noi occidentali. Solo così si può scalfire lo stereotipo, al quale bisogna stare attentissimi. Perché lo stereotipo annienta l’umanità”.