Se si volesse sintetizzare il concetto di cinematografia, in uno slancio di approssimazione e istinto, potremmo definirlo come un contesto produttivo di finzione spettacolare. Dando per sufficiente tale definizione, continuando a ridurre all’estrema economia di vedute l’intera industria cinematografica, va anche detto che in tale ambito, spesso, i nomi più conosciuti sono soprattutto quelli di attori, attrici e registi. In realtà, è scontato affermarlo, ciò che vediamo sul grande schermo è il risultato di un grande lavoro di equipe: gruppi di lavoro nei quali, spesso, eccellenze varie risultano per forza di cose più o meno celate. Insomma, certi nomi sono conosciuti solo da addetti al settore, appassionati etc.
Rick Baker forse, viaggia “in bilico” in questo concetto. Non è sicuramente uno sconosciuto: la sua fama, notevolmente cresciuta negli anni scorsi, si è leggermente attutita col passare del tempo. Ha vinto sette oscar su undici nomination (il primo che ha dato il via ad una lunga serie di premiazioni è stato Un lupo mannaro americano a Londra, a cui sono seguite le statuette per Bigfoot e i suoi amici, Ed Wood, Il professore matto, Men in Black, Il Grinch e Wolfman) ed è stato sempre considerato come il successore più che degno di Jack Pierce, altra leggenda del make up in forza alla Universal. Baker ha deciso autonomamente di ritirarsi. Il motivo è presto detto: per chi ancora non sapesse chi è, stiamo parlando di un mago degli effetti speciali, di quelli però alla “vecchia maniera”. Cerone, trucco e animatronica: quelli senza l’uso della CGI per capirci. Non è un caso infatti che proprio la Computer Generated Imagery stia alla base delle motivazioni che hanno spinto Baker a sancire il suo “pre-pensionamento”. È una notizia passata un po’ in sordina, ma che forse, a ben rifletterci, potrebbe rappresentare un momento altamente rappresentativo nella storia del cinema: del futuro del cinema, delle sue probabili direzioni e di certe “dibattitti” a riguardo. Non è certo il caso di ancorarsi a vecchie logiche nostalgiche e retrograde che vedono nella tecnologia digitale un nemico da sconfiggere o evitare: la spettacolarizzazione di certe pellicole ha fatto inevitabilmente progressi inimmaginabili negli ultimi 20 anni e tutti ne abbiamo tratto beneficio.
Ma il punto è: in quale direzione irreversibile si sta andando? È esagerato e ridicolmente allarmistico pensare, in un futuro più o meno prossimo, una totale interazione fra CGI e girato, con conseguente riduzione drastica degli interpreti “in carne e ossa”? Forse esagero. Forse provoco. In realtà al di là dei progressi che ci sono stati e che ancora ci saranno, pensare ad un enorme ufficio di disoccupazione per Hollywood appare di per sé come una trama surreale per una nuova sceneggiatura. Ma l’addio di Baker sembra assumere in questa fase quasi uno spessore romantico. Non tragico, come da finale di Luci della ribalta certo, ma un sapore malinconico c’è. Rick Baker aveva una passione per scimmioni e scimpanzè in generale. Non tutti sanno che quando Rambaldi creò il King Kong di 12 metri col quale si aggiudicò l’Oscar nel 1977, nella maggior parte dello stesso film era proprio Baker ad apparire in un costume da gorilla e non la stessa creatura meccatronica. Rambaldi: un altro grande Maestro che si è spento nel 2012, quasi dimenticato. Fa quasi uno strano effetto a rifletterci. Uomini che, a loro modo, non hanno mai smesso di sognare: hanno fatto del clamore e dello spettacolare la loro professione ma, come in una sorta di contrappasso, si sono messi umilmente da parte, senza tanti complimenti, quando hanno capito che era finito il loro tempo. Così, senza nessun effetto speciale.