Laeffe propone stasera il primo film di Wes Anderson, Un colpo da dilettanti (Bottle Rocket, 1996), visto da pochissimi all’epoca (in Italia non uscì in sala), poi recuperato quando il nome del regista ha acquistato una meritata reputazione. In verità non era sfuggito a tutti: Martin Scorsese lo inserì nella sua lista dei dieci migliori film degli anni Novanta, lodandone l’assenza di cinismo e l’affetto per i personaggi.
È una delle chiavi determinanti della pellicola, nata dalla collaborazione tra Anderson e i fratelli Wilson (Owen e Luke, i protagonisti), suoi amici dai tempi del college. Insieme avevano precedentemente realizzato un cortometraggio dallo stesso titolo che contiene in embrione la storia del film. Notato al Sundance, aprì loro le porte a una collaborazione prestigiosa con James L. Brooks, produttore dei Simpson e regista premio Oscar, che raccolse un budget di 7 milioni di dollari (con la partecipazione di un attore di prima grandezza, James Caan) per la realizzazione del lungometraggio.
Dignan (Owen) e Anthony (Luke), quest’ultimo appena uscito da una clinica psichiatrica, sognano una carriera da malfattori e per questo assoldano Bob (Robert Musgrave), il cui principale pregio è di possedere un’automobile. Dopo due rapine improbabili, nella casa dei genitori di Anthony e in una libreria, preparano un colpo più ambizioso, insieme alla banda di Mr. Henry (Caan). Le cose non andranno come previsto, anche perché nel frattempo Anthony s’innamora di una cameriera paraguayana (Lumi Cavazos).
Col senno di poi sono riconoscibili diversi elementi del cinema di Anderson: il tono velleitario dei progetti perseguiti (Dignan ha redatto un programma di obiettivi da conseguire nei successivi 75 anni, scritto su un quadernetto da scuola elementare); l’assenza della famiglia (non compare mai un genitore, al massimo fratelli, per Anthony una sorellina più matura di lui e per Bob un fratello maggiore prepotente); di conseguenza, la ricerca di padri putativi, qui Mr. Henry, che si rivelerà un’amara delusione, e il bisogno di appartenenza a una comunità (Dignan fa vestire la banda con un’assurda tuta giallo-banana, a indicare lo spirito di gruppo). I personaggi restano bloccati in una terra di mezzo tra adolescenza ed età adulta, come l’Holden di Salinger, sempre alla ricerca di strategie di avvicinamento alla realtà che non ne mettano in discussione la sostanziale immaturità, di cui le impennate sentimentali sono semplicemente una variante.
Sul piano formale, il film è tipicamente andersoniano: manca solo l’ossessione per la simmetria, ma ci sono già le inquadrature fisse (movimentate nelle sequenze delle rapine), l’uso della profondità di campo, gli oggetti ripresi perpendicolarmente, l’attenzione per la grafica (il Futura Bold del titolo, i quaderni scritti minutamente a mano), l’incastro tra immagini e musiche (una colonna sonora con Stones, Love e gli italianissimi Oliver Onions di Zorro is back).
Nonostante imperfezioni e lungaggini, Un colpo da dilettanti è un’opera già matura, da cui emerge l’adesione affettuosa del regista ai personaggi, osservati senza la distanziazione ironica postmodernista, ma sempre con carezzevole partecipazione. Che è poi la cifra caratteristica di un cinema che può a prima vista sembrare, in virtù del puntuale controllo dell’immagine, freddo e oggettivo, ed è invece, in un tono che spazia tra humour e dolore, un turbinoso movimento di sentimenti appena dissimulati da un contegnoso riserbo.