#Ringraziaundocente, le iniziative per premiare la buona scuola viaggiano via hashtag e Twitter nell’era di Renzi. La settimana dell’insegnante, che si celebra in molti paesi del mondo dall’11 al 16 maggio, è l’occasione giusta per fare il punto della situazione sullo stato della scuola italiana e soffermarsi su una figura professionale sempre più sottopagata e ignorata, nonostante gli enfatici dinieghi dei politici di turno che difendono un sempre più indifendibile sistema scolastico italiano. Abbiamo intervistato sull’argomento Francesco Russo, studente Optima Erasmus a Nijmegen.
Qual è stato il tuo percorso scolastico? Ritieni di aver avuto buoni insegnanti?
Devo ammettere che la mia carriera scolastica ha attraversato numerosi alti e bassi. Fino alla scuola media ho avuto sempre voti altissimi e quasi mai mi sono scontrato con i professori. Dopo il mio ingresso al liceo Classico le cose iniziarono a cambiare. Sognavo un ambiente scolastico all’altezza delle mie aspettative, in cui i professori non fossero legati ai “compitini” a casa, in cui si praticassero molti laboratori di diverse materie, in cui si facesse molto sport all’aperto. Mi immaginavo una scuola che lasciasse interagire le varie sezioni e che promuovesse piccole e grandi gite. Purtroppo non ho incontrato nulla di tutto ciò. Mi sono scontrato invece contro una realtà talmente triste, piatta e povera che dopo i primi due anni del ginnasio ho preso la decisione di cambiare istituto alla ricerca di vitalità e passione per lo studio. Questa è stata la scelta migliore che potessi fare perché nel nuovo istituto ho fatto tante amicizie, diverse escursioni e tanto sport coi miei compagni di classe.
C’è stato nel tuo percorso scolastico un professore che ringrazieresti per aver svolto un ruolo importante nella tua crescita personale?
Sì, un professore di Italiano di cui, ancora oggi (e chi mi conosce sa quanto sia strano) ne ricordo nome e cognome: F. Puccio. Ho avuto l’onore di assistere alle sue lezioni soltanto per un anno perché era prossimo alla pensione. E nonostante in cinque anni abbia cambiato decine e decine di professori, non credo che potrò dimenticarmi facilmente del suo nome. Lui era diverso, svolgeva delle letture che ti lasciavano a bocca aperta. Narrava la Divina Commedia alla stregua di Roberto Benigni. Era talmente coinvolgente che nessuno pensava di aprir bocca in classe. E quando inaspettatamente suonava la campanella, aspettavi fino alla fine che lui terminasse per potergli fare un applauso. Ancora oggi, ricordo la sua spiegazione del V canto dell’Inferno della Divina Commedia: Paolo e Francesca, i personaggi di questo celebre passo, sembravano prendere vita. Quel giorno gli alunni di altre sezioni vennero ad assistere alla sua lezione, quasi fosse un evento teatrale. Il suo metodo di insegnamento, nonostante lui fosse il più anziano in quella scuola, era completamente rivoluzionario. Non si permetteva mai di sgridarti, di punirti, di scriverti una nota sul registro, di mandarti dal preside, di abbassarti un voto per ripicca. Nulla, perché lui faceva questo mestiere per passione. Non aveva problemi di questo genere con gli alunni perché tutti lo rispettavano, prima come uomo e poi come professore. Durante i suoi compiti in classe avevi la possibilità di utilizzare i libri (personalmente mai successo prima di allora). E poi lui ti ascoltava sempre. Ecco, saper ascoltarti e parlarti, una cosa che ho visto fare a pochissimi professori,forse era la sua migliore arma. Un giorno presi un brutto voto in un compito in classe. Qualsiasi alunno, me compreso, si sarebbe aspettato un rimprovero dal professore e un richiamo dei genitori. Lui invece aspettò la pausa della ricreazione e tra i miei compagni mi indicò, dicendomi che a suo parere io fossi uno degli alunni più promettenti. Che lo pensasse realmente o fosse solo un modo per incitarmi a fare meglio non importa. Sta di fatto che quel voto lo alzai in tempo record. Purtroppo non tutti i professori sono così.
Qual è secondo te lo stato della scuola italiana? Cosa non funziona? Cosa può essere migliorato?
Purtroppo la maggior parte dei professori non ha idea di cosa significhi insegnare. Si appoggiano ad un metodo di insegnamento secolare, superato, che non è al passo delle nuove generazioni. Ad esempio non tengono in considerazione che la capacità cognitiva di un alunno è mediamente di trenta minuti e non tre ore consecutive. Inoltre, tutte le scuole operano con un metodo standardizzato, un protocollo utilizzato indifferentemente dal luogo in cui opera e dalla cultura in cui si imbatte, che non si adatta alle capacità dei suoi alunni e non sfrutta appieno le loro potenzialità. In Italia, esistono alcune scuole che stanno cambiando questo metodo tradizionale, cercando di raggiungere un sistema multiforme e interdisciplinare. Ad esempio il Liceo classico Maffei di Verona, il più antico di tutt’Italia, ha promosso alcune sezioni con un programma alternativo che basa l’insegnamento su tre materie principali: Arte, Musica e Sport. Un altro esempio è il modello svizzero adottato per primo dalla Scuola “Dante” di Udine, denominato “scuola in Movimento”, secondo cui è fondamentale porre al centro dell’insegnamento l’educazione fisica in modo da garantire un apprendimento attraverso tutti i sensi. Il modello più radicale di scuola “libera e democratica” risiede in Inghilterra nella “Summerhill School” dove non esistono orari né differenzazioni in base al sesso né suddivisioni in base all’età, bensì alle capacità dell’alunno. Di certo però, attuare una rivoluzione scolastica del genere, a livello nazionale, risulta essere un’utopia. Mi auguro soltanto che la nuova generazione di professori sia diversa da quella con cui mi sono scontrato io e, ancora prima, i miei genitori. Bisogna cambiare i paradigmi dell’educazione e a proposito vi suggerisco la visione di questo intervento dell’educatore Ken Robinson: https://www.youtube.com/watch?v=SVeNeN4MoNU
Faccio anche a te la domanda che ho rivolto a Patricia in un precedente articolo di Optimagazine: Perché secondo te in Italia gli insegnanti sono sottopagati e le spese per l’educazione sono ai minimi storici?
In Italia si susseguono riforme su riforme ma la situazione non migliora. Tutto partì durante la riforma Gelmini che mise in ginocchio le scuole di tutta Italia e noi studenti ci ritrovammo costretti a protestare ed occupare le scuole. Nel mio liceo l’ultima occupazione, ad esempio, risaliva al ’68. Gli insegnanti italiani sono sottopagati perché il loro mestiere non viene considerato per come meriterebbe. Bisognerebbe investire sull’educazione, attraverso aggiornamenti e formazioni continue. Ma osservando le varie riforme (tra cui la più recente “la buona scuola” di Renzi) sembra quasi che i governi vogliano mantenere una sub-cultura che rende incapace il popolo di reagire dovutamente alle continue provocazioni di chi ha il mano il potere. Nonostante ciò mi rivolgo a tutti gli studenti delle scuole superiori e delle università: qualsiasi siano le vostre ragioni, date la colpa a chi volete, protestate e urlate, ma non mollate mai gli studi per colpa loro!