Giovedì 16 esce l’attesissimo Mia madre, nuovo film di Nanni Moretti: Rai 3 ne approfitta per trasmettere stasera il profetico Habemus Papam, che seppe prevedere la rinuncia al santo soglio di papa Ratzinger.
Il film racconta la vicenda del cardinale Melville (Michel Piccoli, bravissimo) che, eletto papa dopo un sofferto conclave, non ha il coraggio di affacciarsi al balcone di San Pietro. Dopo che uno psicoanalista (Moretti) chiamato alla Santa Sede non riesce ad aiutarlo, si decide di fargli incontrare un altro analista (Margherita Buy), ma in incognito e fuori del Vaticano. Melville ne approfitta per scomparire e comincia a vagare per Roma. I fedeli intanto, accampati in piazza San Pietro, attendono con crescente angoscia lo sviluppo degli accadimenti.
Moretti è tornato dopo quasi trent’anni a parlare di fede: nel 1985 La messa è finita fu una riflessione intima, su di un sacerdote alle prese con la vocazione e il rapporto con la famiglia, che ricapitolava il fallimento d’una generazione passata attraverso la perdita degli ideali, il terrorismo, l’inaridirsi dei rapporti umani.
Habemus Papam racconta un altro scacco insieme individuale e collettivo. Melville, attanagliato dal senso d’inadeguatezza all’alto compito che lo attende, cerca di affrontarlo reimmergendosi nel proprio vissuto: non tanto attraverso la fallimentare terapia, quanto grazie allo smarrirsi nelle strade di Roma, dove ritrova lampi del proprio passato, come la giovanile passione per il teatro.
Tornano in mente le parole che Alberto Moravia usò per La messa è finita, da lui ritenuto un film su Roma in quanto luogo in cui troneggia il potere. Habemus Papam, in effetti, prima di essere un film sulla fede è un’interrogazione sul tema del potere: sulla responsabilità legata all’assunzione di un ruolo, e sulla difficoltà ad accettarlo in un’epoca in cui la realtà è divenuta incomprensibile e qualunque scelta sembra condannata all’inutilità e al fallimento. Il vagabondaggio di Melville nella città eterna, infatti, si rivelerà infruttuoso e avaro di risposte: anche l’incontro con una compagnia teatrale sarà frustrante, tra un primo attore ormai impazzito e gli altri che invece di dialogare monologano con se stessi, come fossero incistati in un’insensata solitudine.
Non va meglio a San Pietro: il conclave comincia con un simbolico guasto alla corrente elettrica che lascia al buio i cardinali. I quali vanno avanti ad ansiolitici e tranquillanti e al momento della votazione ripetono la stessa preghiera interiore: “Non io Signore, non scegliere me”. Tutti restano barricati nei confini della propria individualità e i soli surrogati comunitari sono costituiti da tipici morettismi quali la canzone collettiva Todo cambia e il torneo di pallavolo imposto ai cardinali dallo psichiatra – i momenti più deboli del film. Un po’ poco come risposta a un’inquietudine profonda, che precipita nell’immagine angosciosa del balcone vuoto di San Pietro sul quale, dietro le tende rosso fuoco, grava un nero plumbeo, spaventoso, che rimanda a una minaccia indistinta cui nemmeno la fede è capace di fornire soluzione.
MI SEMBRA CHE MORETTI HA GIOCATO ALTO, MA HA FALLITO. NON POTEVA INFATTI RIDURRE LA CHIESA E TUTTI I CARDINALI (PER NON PARLARE DEL PAPA) COME IL SUO GRUPPO DI AMICI DELLA GARBATELLA. NARCISISTA FRUSTRATO HA FALLITO, ANCHE SE BISOGNA RICONOSCERGLI UNA CERTA DOSE DI CORAGGIO.