Tra il cinema e noi spettatori c’è senza dubbio un rapporto d’amore. Ma, stando a quanto scrisse una volta Carson McCullers, in realtà è lui l’amante e noi gli amati. Torna alla mente questa acuta osservazione vedendo una sequenza di Latin Lover di Cristina Comencini in cui, mentre guardano spezzoni dei film di Saverio Crispo (Francesco Scianna), divo degli anni d’oro del cinema italiano, le donne della sua vita presenti alla commemorazione nel decennale della morte piangono a dirotto.
Le due mogli e le quattro figlie hanno passato gran parte del tempo a punzecchiarsi, cercando di spartirsi la memoria e l’affetto di questo marito e padre travolgente, ma inafferrabile, narcisista e molto assente. Quando però lo ritrovano sul grande schermo, i malumori svaniscono, e la forza dell’amore che dalla sua immagine irradia si riattiva, ancora capace di sedurle tutte.
Chi è dunque Saverio Crispo? La Comencini crea una sorta di attore-collage: un po’ Mastroianni, molto Gassman (che Scianna fisicamente ricorda) e anche Volonté. Il suo curriculum bulimico comprende teatro di rivista e commedia, spaghetti western e film politici, Hollywood, la stagione esistenzialista francese e il periodo metafisico svedese. Più che un attore, semplicemente, è la personificazione del cinema italiano, che le sue donne osservano rapite, avvinte dalla nostalgia per una tradizione luminosa e irripetibile.
Quella nostalgia fa perdonare loro qualunque cosa, compresi i continui tradimenti di Saverio: che su ogni set si innamorava di una nuova donna e che in ogni paese disseminava una nuova figlia. Per cui Latin Lover è una polifonia quasi tutta al femminile: con la moglie italiana (Virna Lisi, alla sua purtroppo ultima, calibratissima interpretazione, cui è impossibile assistere senza malinconia) e quella spagnola (Marisa Paredes), e le tante figlie (l’italiana Angela Finocchiaro, la francese Valeria Bruni Tedeschi, la spagnola Candela Peña, la svedese Pihla Viitala). Se si aggiunge che la regista di sorelle ne ha tre e che suo padre Luigi è stato uno dei maggiori registi del nostro cinema, ecco che il gioco di rimandi e rispecchiamenti diventa vertiginoso.
Saverio giustamente appare solo attraverso spezzoni dei suoi film: non è un uomo in carne e ossa, ma una creatura di pura celluloide, con la consistenza fantasmatica della finzione cinematografica, da cui promana un fascino che si rimette in moto a ogni visione.
Il film suona sincero, anche se la sceneggiatura si disperde tra i continui battibecchi di troppi personaggi non sempre a fuoco. La Comencini ci ha messo dentro la passione d’una vita, la storia del cinema italiano e la storia sentimentale di noi spettatori. Manca però il senso del gioco legato al fare e guardare il cinema. I film ricreati dentro il film, Il Sorpasso, Divorzio all’italiana, L’armata Brancaleone, La classe operaia va in Paradiso, sono resi con rispetto calligrafico, ma senza particolare divertimento. Come se una patina elegiaca e dolciastra, invece che gioiosa, si fosse depositata sui fotogrammi. Forse era inevitabile: Latin Lover non è una festa, ma la commemorazione funebre del grande seduttore, il cinema.