“Gli scrittori sono delle creature terribili, dei cinici approfittatori delle vite altrui”. Non usa mezzi termini Cristiano De Majo. Ma, a scanso di facili polemiche, va detto che sta parlando prima di tutto di se stesso. De Majo è infatti autore di un bruciante romanzo, Guarigione (Ponte alle Grazie), che racconta una vicenda scopertamente autobiografica, incentrata sulla malattia che colpisce uno dei suoi figli. Un libro che non si nasconde dietro identità fittizie, ma che chiama i personaggi coi loro veri nomi: e pone quindi immediatamente la questione scomoda del vampirismo della letteratura, del rischio insito nel mestiere del narratore, che “ruba” le vite degli altri e le trasforma in racconto.
“Quando uno scrive un libro come questo – dice De Majo – è un tema a cui si pensa in continuazione. Mi chiedo spesso cosa penseranno i miei figli quando avranno l’età per leggerlo. Io l’ho scritto come una testimonianza d’amore, ma è chiaro che mettere in piazza vite di persone che non ti hanno dato l’autorizzazione a farlo è sempre un atto di impudicizia. Non ci sono risposte definitive sulla giustezza etica dello scrittore. Nel mio caso, ho sentito che questa storia mi riguardasse e in questa risposta trovo una forma di tranquillità”. Va detto che De Majo si rende personaggio tra i personaggi: rivolge su di sé lo stesso sguardo destinato agli altri attori, senza approfittare della posizione di superiorità del narratore, raccontando anche le sue, di debolezze.
Guarigione parla di molte cose: di malattia, naturalmente, vista però sempre senza toni vittimistici o ricatti emotivi. E di paternità: un tema spinoso, soprattutto per i trenta-quarantenni di oggi, ritenuti per definizione una generazione di eterni adolescenti che si rifiutano di crescere e assumersi delle responsabilità. “Nel libro a un certo punto dico che forse ho fatto un figlio – puntualizza De Majo – per la fatica di essere figlio. Perché essere sempre soltanto figlio è una cosa estenuante. Testimonio cosa significa crescere per una generazione che non diventa mai adulta, per l’assenza di conflitti eclatanti con i genitori e ovviamente per motivi economici e sociali. Racconto cosa significa attraversare questo passaggio, però con un sacco di ambiguità, dettate dal non avere comunque sicurezze economiche. Ma imparando contemporaneamente, comunque, cosa significa la parola responsabilità”.
Altro tema di Guarigione è il futuro. Tra precarietà esistenziale, fuga dalla responsabilità e assenza di prospettive professionali, le nuove generazioni si sentono legate a un presente perenne. Una cosa che se da un lato rende euforici, perché ci si illude di restare sempre giovani, dall’altro è frustrante, perché è difficile progettare l’avvenire. E qui interviene la malattia: un cambiamento che segna nel profondo, una cesura che obbliga a distinguere un prima e un dopo. “Mi interessava molto la relazione tra guarigione e tempo – sottolinea De Majo –, il fatto che si pensa alla guarigione come qualcosa che avverrà nel futuro. Quindi la malattia consente di dare una forma, un’immagine al futuro”. Paradossalmente quindi, l’esperienza più temuta libera dall’ossessione del presente e apre altre prospettive.
Anche per questo Cristiano De Majo ha scritto un libro importante: in cui l’autobiografia non è l’espediente, come in tanti romanzi italiani, per raccontare una dolciastra nostalgia del passato, ma il dispositivo che proietta l’esistenza su un arco temporale di più ampio respiro. Dove ci sono molti rischi, primo fra tutti la malattia, ma dove la lancetta del tempo ricomincia a girare e la vita si riempie di opportunità e di futuro.