“Cosa diavolo c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?”. Philip Roth concludeva così Pastorale americana, racconto di una famiglia conservatrice e tradizionalista, ma onesta e pulita. Clint Eastwood potrebbe porre la stessa domanda ai detrattori di American Sniper, la storia vera di Chris Kyle (interpretato da Bradley Cooper), cecchino che uccise 160 persone nella guerra in Iraq. Un uomo retto che crede in Dio, Patria e Famiglia, andato in guerra per amore verso il suo paese. Basta questo per definire il film destrorso e guerrafondaio?
Certo, American Sniper non è un’opera pacifista, ma nemmeno un’esaltazione acritica del militarismo. Eastwood regista costruisce un racconto ricco di sfumature, a partire dalla fotografia piatta e naturalista, che rifugge toni sensazionalistici ed epicizzanti e si sforza di mostrare gli uomini in battaglia per quello che sono. Sintomatico poi che le prime due persone uccise da Kyle siano una donna e un bambino in procinto di compiere un attentato: il film dichiara subito e senza eufemismi che la guerra è un inferno fatto di tragiche scelte morali, che va indagato dall’interno e non giudicato attraverso astratte dichiarazioni pacifiste.
L’etica di Kyle è fondata su un discorso fattogli da bambino dal padre: gli uomini si distinguono in tre categorie, le pecore che subiscono, i lupi prevaricatori e i cani da pastore che difendono i deboli. Lui naturalmente è un cane da pastore. Non c’è altro da sapere sugli uomini: e su questo istintivo senso della giustizia Kyle fonda tutte le sue scelte, anche quella di partire per l’Iraq, dopo aver assistito al crollo delle Torri gemelle.
È stata molto criticata la rappresentazione unilaterale degli iracheni, ritratti come fanatici terroristi. Questo però è il punto di vista di Kyle, la cui unica prospettiva – certamente parziale – è il mirino del fucile, attraverso il quale vede un mondo fatto di distinzioni inequivoche, da un lato il nemico, dall’altro i commilitoni da difendere. Tacciare Eastwood della stessa visione unilaterale sarebbe puerile: proprio lui che ha girato due film sulla Seconda Guerra Mondiale, Flags of our Fathers e Lettere da Iwo Jima, per raccontare il conflitto sia dall’angolazione americana che giapponese.
American Sniper non sposa tesi monolitiche e affonda senza preconcetti nella materia ribollente della guerra, in cui si impastano miserabilità ed eroismo quotidiano. A conferma di uno sguardo per nulla manicheo, verso il finale Eastwood immerge i combattenti in una metaforica tempesta di sabbia, nella quale non si distinguono più i buoni dai cattivi e Kyle vede incrinarsi i valori in cui crede.
Bradley Cooper offre un’interpretazione di grande sensibilità, da cui emergono tanto il carattere trasparente e onesto di Kyle, quanto gli improvvisi smarrimenti di fronte a una realtà cui applica categorie troppo nette e riduttive. Contrariamente alle apparenze, Eastwood ha firmato un film sottilmente complesso su un uomo per cui nutre rispetto e ammirazione: per la sua rettitudine non fanatica, la semplice nobiltà, il patriottismo e la bontà di fondo. Qualità di fronte alle quali sembra chiedersi, e chiederci: cosa può esserci di sbagliato in tutto ciò?
Il padre del leggendario cecchino, eroe americano della guerra in Iraq Chris Kyle, diceva a Chris e a suo fratello, da bambini: