Conto alla rovescia per la serata conclusiva di Venezia 71, quella in cui saranno annunciati il vincitore dell’ambito Leoni d’Oro. I tre film italiani presentati in questa edizione hanno riscosso tutti, chi più chi meno, il consenso della critica e del pubblico. Quello che ha suscitato più clamore tra i tre, senza dubbio, Il giovane favoloso, con Elio Germano nelle vesti di Leopardi. E chissà che non sia proprio una produzione nostrana ad aggiudicarsi anche questa edizione.
Fino a oggi, le pellicole italiane che si sono portate a casa il prestigioso premio sono stati dieci.
Nel 1954 fu Giulietta e Romeo, diretto da Renato Castellani, a vincere il primo Leone d’Oro italiano. Pellicola girata principalmente tra Verona e Siena, nell’intenzione del regista doveva eliminare tutti gli aspetti aulici della storia e restituire italianità ai personaggi e agli ambienti. Tutto doveva sembra come uscito da un quadro quattrocentesco. La storia è piuttosto fedele a quella shakespeariana e la realizzazione del film richiese sei anni.
Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Mario Monicelli. Serve altro? Il secondo Leone d’Oro delle storia del cinema italiano incoronò quello che è ancora considerato uno dei migliori film italiani sul primo conflitto mondiale. In La grande guerra tragedia e commedia si incontrano con i particolari storici della vita di trincea al fronte, regalando una scena finale indimenticabile. Ma… c’è un ma… Infatti quell’anno, il 1959, a vincere la statuetta furono ben due italiani, ex aequo. L’altro film era Il generale della Rovere, realizzato da Roberto Rossellini dal romanzo, in parte autobiografico, di Indro Montanelli.
Siamo nel 1962 e arriva il terzo Leone, quello di Cronaca familiare di Valerio Zurlini, considerato uno dei film maschili più commoventi della storia del cinema. Tratto dal romanzo di Vasco Pratolini, vede Marcello Mastroianni e Jacques Perrin nelle vesti di due fratelli, che si ritrovano dopo varie vicissitudini familiari.
L’anno seguente, un altro film italiano arriva primo al Festival: Deserto Rosso, di Michelangelo Antonioni. Monica Vitti, nel film la depressa e tormentata Giuliana, è sposata con Carlo Chionetti, ovvero un dirigente industriale di nome Ugo. Con scene lente e pensate, la pellicola cerca di raccontare il disagio della condizione della donna del tempo.
Nel 1965 arriva Vaghe stelle dell’Orsa. Luchino Visconti racconta il ritorno alla città natale, Volterra, di Sandra, interpretata da Claudia Cardinale. E’ il viaggio nei ricordi e nelle sensazioni che il ritorno nei luoghi dell’infanzia da’ a Sandra, e che condurranno la trama verso un finale drammatico.
Passano, questa volta, 23 anni prima che il Leone premi un altro regista nostrano. Il riconoscimento arriva con La leggenda del santo bevitore, di Ermanno Olmi. La pellicola è considerata il testamento spirituale dello scrittore ebreo-austriaco Joseph Roth, tra i più accaniti denunciatori delle barbarie naziste, ed è basata sul suo omonimo racconto autobiografico.
Correva l’anno 1998, dieci anni dopo la vittoria di Olmi, quando ad aggiudicarsi il premio fu Così ridevano, di Gianni Amelio. Un racconto dove lotta sociale, condizione operaia e contraddizioni del boom economico incorniciano la vita di due fratelli siciliani emigrati a Torino. In primo piano la distanza insuperabile tra nord e sud della penisola.
Ultimo, ma non meno importante e meno bello, il Leone d’Oro di Sacro Gra, diretto da Gianfranco Rossi, vinto appena 12 mesi fa. Si tratta, inoltre, del primo documentario a essere premiato, in tutta la storia del Festival. Ambientato interamente nella zona del Grande raccordo anulare di Roma, mostra frammenti della vita della gente che vi abita tutt’intorno. La quotidianità che si nasconde dietro alle file del traffico di ogni giorno.