“Non provate un brivido pensando di essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d’Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto? Il tema dell’Europa è dire ai nostri figli, noi che siamo la generazione Erasmus, che è possibile che l’Europa oggi sia il luogo in cui è possibile la speranza“. Queste le parole pubblicate dal premier Matteo Renzi sul sito della presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, parole che saranno probabilmente ripetute nel discorso di mercoledì a Strasburgo, quando la Grecia effettuerà il passaggio di consegne all’Italia per l’inizio del Semestre italiano di Presidenza, che terminerà a dicembre.
Un discorso che a quanto pare Renzi sta preparando in forma scritta, contrariamente alle sue abitudini. L’impressione è che Renzi voglia approfittare dell’occasione (erano 11 anni infatti che non toccava il nostro turno di presidenza al Consiglio Europeo) per rassicurare i vertici europei sulla assoluta dedizione e fedeltà dell’Italia alla causa di integrazione europea. Dopo l’insediamento di mercoledì, ci sarà infatti a Villa Madama un incontro con la Commissione Europea.
Ma anche un’opportunità per parlare come Presidente del consiglio di tutta Europa, e affrontare alcuni temi particolarmente a cuore, in particolare la gestione dell’immigrazione, che Renzi vorrebbe affrontare a livello europeo, senza localismi e senza cadute nell’antieuropeismo o nel populismo.
Due sentimenti particolarmente virali proprio in Italia, all’indomani della proposta di Jean-Claude Juncker del Ppe come presidente della Commissione Europea, la cui nomina è stata definita “nauseante” dal M5S di Beppe Grillo, secondo cui Juncker è un “tirapiedi di Angela Merkel”, al servizio del liberismo più sfrenato, e la cui approvazione da parte del Pd avrebbe rappresentato una vera e propria sconfitta per Renzi, secondo Grillo.
Abbiamo chiesto i pareri di Daniele Laino, studente Optima Erasmus a Liegi.
Quale futuro si prospetta per l’Unione Europea, alla luce di questi malumori e critiche?
L’Unione Europea è a mio avviso uno stato atipico che sfocia quasi nell’utopia: niente lingua comune, niente tradizioni condivise e nessun senso di appartenenza; tuttavia, sotto il profilo legislativo e amministrativo, è regolata da statuti e leggi che ne fanno un’entità statale vera e propria, alla quale tutti noi cittadini degli stati che ne fanno parte accettiamo automaticamente di sottostare. Recentemente l’Ue ha esteso i suoi confini, non con l’antiquata tattica della guerra e dell’invasione, ma semplicemente annettendo quei paesi che hanno tanto supplicato di essere presi in considerazione: gli ultimi sono stati Romania e Bulgaria e, giusto l’anno scorso, la Croazia. Onestamente però, pur riconoscendo le sue strane peculiarità, sono fiducioso sull’Ue: è animata da meravigliosi principi di collaborazione e coesione fra tutti i paesi di questo continente che da sempre si chiama Europa. L’Ue scongiura ogni tipo di conflitto tra i paesi, e del resto, sebbene il resto del mondo si alleni continuamente nella pratica della guerra, noi europei possiamo dire di essere relativamente in pace. Tuttavia condivido, come credono con molte altre persone, la paura che l’Europa diventi troppo germano-centrica, grazie al fatto che questo paese, ormai così sviluppato in senso economico e civico, riesca ad attirare consensi dalle alte sfere europee più di quanto sia davvero necessario. Del resto, il successore di Van Rompuy sarà Juncker, lussemburghese. E si dà il caso che il Lussemburgo sia uno dei paesi con il più alto Pil d’Europa. Il mio timore è che l’Ue si trasformi in un organo plutocratico dove saranno i paesi più ricchi a comandare, ed i più poveri ed in crisi saranno costretti ad adeguarsi a suon di veti, sanzioni e normative.
Qual è l’opinione che i belgi hanno dell’Unione Europea?
Qui in Belgio ho sentito pochi esprimersi sull’Unione Europea, anche se credo che implicitamente non dia fastidio a nessuno e la apprezzino tutti, salvo una piccola minoranza proveniente da qualche partito separatista fiammingo più radicale; del resto, a Bruxelles tra i molteplici negozi di souvenirs, spiccano anche i negozi “I love Europe”, tutto merchandise ufficiale UE. Stranamente è sempre semivuoto. In ogni caso, Renzi ha ragione: il futuro dell’Europa è la mia generazione, specialmente noi Erasmus. Come ho già affermato in occasione della campagna per il voto europeo, “Grazie Europa”, in Belgio ho scoperto cosa significa essere europeo, perchè lì ho scoperto cos’è davvero il multiculturalismo: tanti popoli che vivono assieme, in maniera più o meno pacifica, che però hanno tutti pari opportunità.
AL POLITECNICO ISRAELIANI E PALESTINESI SIEDONO VICINI: GENERAZIONE ERASMUS E PATTO FRA LE GENTI
«3 anni, 187 crediti, tante persone incontrate e nuove esperienze. E finalmente la laurea. Shanghai sto arrivando #ciaopoli #civediamopoi»: è il post su facebook di Francesco, 21 anni, che fra pochi giorni si laurea in Ingegneria elettronica a Torino.
Francesco fa parte di quella che Renzi definisce «generazione Erasmus», anche se la sua esperienza all’estero non origina dal programma europeo ma da una borsa di studio inquadrata in una convenzione fra il Politecnico di Torino e la Tongji University di Shanghai. Così avvincente da indurre Francesco, dopo 13 mesi a Shanghai per il secondo anno di studi, a iscriversi a Torino lo scorso settembre ai corsi del terzo in inglese per conoscere altri pezzi di mondo. Gli si è aperto un nuovo universo, come a Shanghai, fatto di sudamericani, africani, asiatici, palestinesi, israeliani.
Ha studiato, come già in Cina, 15 ore al giorno domeniche comprese, ha partecipato a progetti importanti come l’H2PolitO per realizzare auto ecosostenibili a idrogeno. Ha partecipato a feste di Hanukkà organizzate da compagni di corso israeliani che dopo tre anni di servizio militare nel genio comunicazioni sui tank, finalmente tornati sui libri, condividevano la gioia della conoscenza con i compagni palestinesi, ed è stato invitato alle cene notturne del Ramadàn da amici palestinesi e giordani. «Il bello» dice «è stato vedere palestinesi e israeliani seduti vicini ai banchi del Poli».
Ma il più bello deve ancora venire. Dopo la laurea, a settembre riparte per Shanghai dove, dopo un periodo di tirocinio in un’azienda, il prossimo anno conseguirà la seconda laurea in Cina. E lì lo aspetta Apple, una bella ragazza taiwanese incontrata lo scorso anno in Cina con la quale ha viaggiato fra Laos, Yunnan, Sichuan e Qinghai durante le vacanze universitarie. Perché in questi tre anni il ragazzo ha imparato anche ad amare. Ad aspettare, pazientare e rispettare, anche, perché per undici mesi si sono visti solo grazie a skype.
Daniel Cohn-Bendit, ex leader del ’68, ha spiegato in questi giorni che bisognerebbe rendere obbligatorio l’Erasmus per ogni studente universitario. «I giovani vanno all’estero, un terzo di loro finisce per innamorarsi di un ragazzo o una ragazza d’un altro Paese, così poi restano insieme e il patto fra le genti è siglato.»
Già, perché ormai le rivoluzioni non si possono più fare con le armi. Oggi l’unico strumento possibile per cambiare il mondo è la conoscenza. Di nuove tecnologie e metodiche, ma soprattutto delle persone. Così si arriva al «patto fra le genti». Solo dopo aver conosciuto, e amato, si può ritornare per cambiare le cose. Perché Francesco non è fuggito, prima, e non sta scappando di nuovo, adesso.
«#ciaopoli #civediamopoi», ha concluso Francesco nel suo post. La generazione Erasmus vola via, forse per anni, con l’idea, un giorno, di ritornare, per fare un’Europa, un’Italia migliore. In cui la parola «straniero», un giorno, non abbia più significato.
Francesco è mio figlio. E mia figlia si appresta a partire per Tübingen con Erasmus.
Teresio Asola, Torino