Il sistema educativo italiano mostra le sue pecche negli ultimi studi presentati rispettivamente dal Censis e dall’OCSE. Per il Censis lo studio ha perso la sua funzione di ascensore sociale in quest’ultimo decennio. In altri termini, chi oggi conclude gli studi universitari non ha molte speranze di migliorare la propria condizione economica rispetto a quella dei genitori, anzi rischia di scendere i gradini della scala sociale. La scuola si conferma inoltre un luogo dove chi viene da famiglie agiate sembra avere più chance rispetto ai coetanei più disagiati. Il tasso di abbandono scolastico dei figli dei laureati è infatti appena del 2,9%, quello dei ragazzi i cui genitori hanno solo la licenza media è 10 volte più alto. Nell’anno scolastico 2013/2014 il 28% dei giovani in età dell’obbligo ha abbandonato gli studi.
E ancora la domanda di lavoro continua a privilegiare giovani con titoli scolastici bassi, mentre le offerte per i laureati registrano nel quinquennio 2008-2013 una diminuzione del 10%. Il 37% dei laureati svolge oggi un lavoro dequalificante rispetto al proprio titolo di studio. Sempre più vistoso inoltre il calo delle immatricolazioni nelle università (-3,3% quest’anno) e il tasso di abbandono degli iscritti (il 15% quest’anno). Un dato che rende l’Italia uno degli ultimi paesi Ue per numero di laureati, il 20,3% rispetto a una media europea del 34,6%.
E un’indagine commissionata dall’OCSE sottolinea che l’Italia è il paese con gli insegnanti e i presidi più anziani, con un’età media di 49 anni. Gli insegnanti under 40 sono appena il 16%, mentre quelli over 60 sono quasi raddoppiati in 5 anni. Inoltre l’88% degli insegnanti italiani ritiene che il proprio lavoro sia poco valorizzato nella società.
Dati che impongono una riflessione sul futuro della scuola, che abbiamo affidato a Francesca Sorrentino, studentessa Optima Erasmus a Barcellona.
Come ti spieghi questo aumento di abbandoni scolastici e questa diminuzione delle immatricolazioni all’università?
Io penso che avvenga perché ovviamente i ragazzi più disagiati, che non hanno stimoli da parte delle proprie famiglie e che non sono seguiti, dovrebbero trovare nell’istituzione scolastica qualcuno che li motivi ad andare avanti e non massacrarli. La scuola non è solo studio, ma riguarda anche la crescita personale e soprattutto la formazione del carattere di una persona. Ovviamente, non tutti i professori sono in grado di fare ciò, soprattutto perché l’età media è avanzata, si va in pensione troppo tardi e per forza di cose, anche il miglior docente puó perdere quella voglia di insegnare, di trasmettere la propria passione. Per quanto riguarda il crollo delle iscrizioni all’università, le cause principali possono essere principalmente economiche, dato che per sostenere un figlio all’università bisogna sovraccaricarsi di grandi spese. D’altro canto, ci sono anche giovani che vogliono impiegarsi, dopo il diploma, nel mondo del lavoro magari per esigenze economiche o per ottenere una propria indipendenza, ma, al giorno d’oggi risulta difficile lavorare con una laurea o un diploma, immaginiamoci senza.
Hai parlato di professori troppo anziani, come menziona anche la ricerca OCSE. Pensi che si tratti di una cosa negativa?
Io credo che il sistema scolastico abbia bisogno di un continuo rinnovamento all’interno della sua classe insegnante. Spesso ci ritroviamo in aule dove l’etá media di un professore si aggira intorno ai 50 anni e questo per me puó avere riscontri positivi e non. Credo che la presenza di professori di etá avanzata, se cosi vogliamo definirli, sia importante poiché dal punto di vista lavorativo hanno piú esperienza nel loro campo e magari conoscono meglio i metodi di insegnamento da infondere ai ragazzi, affinché il loro apprendimento possa risultare al 100%. D’altra parte pero, a volte capita d’incontrare persone stanche del proprio lavoro che invece di dare qualcosa ai propri alunni, sfogano i loro dispiaceri personali e non solo, creando una situazione di tensione e malcontento generale della classe. Penso che nel sistema scolastico ci sia bisogno di piú giovani, che possano mettersi in gioco ed approcciarsi ai giovani in maniera totalmente differente. All’inizio la questione potrebbe risultare complicata, per tutti lo è quando siamo solo alle prime armi, ma sono convinta che la preparazione di un giovane professore non sia da meno rispetto ad una persona che esercita il proprio mestiere da tanti anni. Allo stesso modo, sono convinta dell’assoluta umiltá che i giovani insegnanti devono avere per apprendere da chi ha piú esperienza e riuscire cosi al massimo nel proprio lavoro.
Come spieghi inoltre questa sfiducia, questo scetticismo nei confronti della scuola italiana di oggi?
La societá ormai sta cambiando rapidamente. Mentre prima la scuola veniva intesa come un luogo d’incontro tra i giovani, in cui poter fare nuove amicizie, adesso per molti ragazzi viene considerata come un luogo in cui siamo obbligati a stare 5-6 ore al giorno, perché ci viene imposto e basta. In generale, si è persa la fiducia nelle istituzioni, la scuola come tempio della cultura sembra essere ormai un lontano immaginario. I fattori che influenzano i giovani a voltare le spalle alla scuola potrebbero essere molteplici, ma tuttavia non c’è per me una giustificazione a questa “mancanza di desiderio” di frequentare la scuola da parte di molti ragazzi. Ammetto piú volte di essermi lamentata, poiché magari molte interrogazioni e compiti in classe mi mettevano sotto pressione e mi facevano sentire come in gabbia, ma non nascondo che proprio grazie alla scuola, ho avuto un’ottima preparazione di base tale da affrontare gli studi universitari e ho conosciuto compagni di classe che tuttavia ritrovo al mio fianco, nonostante gli anni e i percorsi diversi che abbiamo intrapreso.