Per qualcuno donna Imma è stata una novità. Donna Imma, la moglie del boss Pietro Savastano, è quello che potrebbe definirsi una donna moderna, attenta all’immagine e perfettamente cosciente del suo ruolo all’interno della famiglia. Non incarna la cosiddetta tipica iconografia camorristica: il caratteristico ruolo di madre meridionale, anche se calato in un contesto criminale. No. Questa cosa forse ha spiazzato un po’ il pubblico di Gomorra la serie. È un altro aspetto innovativo della sceneggiatura: nessun racconto romanzato di una donna che può apparire vittima degli eventi, e che magari si vendica perché colpita negli affetti e nell’orgoglio (ogni riferimento è sottilmente voluto…). Qui c’è la descrizione fredda di una donna in carriera. Criminale ovviamente.
E nel racconto di ciò che è Donna Imma, c’è una scena che la vede come protagonista, e che personalmente reputo molto più impressionante di tante altre: è quando si vede nella piazza di spaccio la madre di una ragazza invalida chiedere un aiuto, in termini per così dire occupazionali, per la propria figlia. In poche parole le chiede un lavoro. La risposta di donna Imma, qualche giorno dopo, è efficace e gratificante per madre e figlia: la ragazza viene messa a vendere lacci emostatici e siringhe per i tossici, clienti della piazza. Credo sia oltre l’orrore. È una fotografia perfetta della camorra: dinamiche sociali e psicologie distorte che si nutrono, in primis della paura, ma anche dell’ignoranza e dello sfruttamento delle classi sociali a rischio.
Poi c’è, ed è ovvio, anche la collusione politica e la gestione manageriale; ma alla base c’è una forma di, duole ammetterlo, consenso popolare di determinate psicologie. Si badi bene, ho detto psicologie: nè classi sociali, nè ceti, nè territori. Anche se poi gli elementi si combinano, e non è facile districare l’intreccio mortale di fattori concomitanti.
Donna Imma, al pari di qualsiasi boss, come suo marito, tutto questo lo sa e lo gestisce con destrezza. È il volto moderno ed evoluto della camorra; rappresenta quello che ormai è stato chiaramente appurato da anni, e che per alcuni addetti al settore ha rappresentato una sorte di sorpresa: l’ascesa gerarchica e l’importanza assunta dalle donne all’interno delle organizzazioni camorristiche. Donne non più quindi relegate a ruoli assistenziali e comprimari, ma in grado di gestire con piglio deciso e ferreo le strategie all’interno dell’organizzazione; che si tratti di semplice mercato, o di concorrenza da eliminare in modo per così dire non proprio ortodosso, non fa differenza.
Donna Imma arriva a mettere in discussione anche la vita stessa del figlio Gennaro per fare in modo che questi cresca, si faccia le ossa. Lei non esita nell’affrontare in prima persona tutti, amici e nemici: il marito in carcere quando non è d’accordo con la sua politica, il figlio quando torna dalla sua missione e gli rinfaccia il suo atteggiamento, i gregari fedeli a Pietro Savastano che sono contrari alle sue decisioni e Ciro l’immortale che sarà l’ultimo dei suoi nemici. Il più micidiale.
Non è un caso che tutte le Donna Imma siano arrivate a posizioni di comando superiori, un tempo riservate solo agli uomini: al di là delle origini storiche ottocentesche, la camorra è l’unica organizzazione di carattere mafioso che ha origini urbane e non agrarie, a differenza appunto di mafia e ‘ndrangheta. E in un contesto urbano, talune dinamiche di emancipazione, procedono di pari passo con le spinte di rivendicazione sociale caratteristiche degli ambienti per così dire più cittadini. La classe non è acqua. In questo caso è sangue sparso, per sè e per gli altri.