
I nonni danno fastidio. Brontolano, sono acciaccati, ripetono sempre le stesse cose. Ma quando vanno via lasciano un vuoto pesantissimo. Ho perso i miei nonni in momenti molto diversi della mia vita. Il primo ad andarsene fu nonno Gennaro, il papà di mia madre.
Avevo quindici e non avevo mai perso una persona cara. Mi fu molto difficile comprendere il trauma del distacco. Nonno Giuseppe, del quale porto il nome, ci lasciò quando avevo compiuto diciotto anni e mi preparavo all’esame di maturità. Nonna Teresa e Nonna Maria sono morte quando ormai ero adulto e con figli. Distacchi diversi e dolorosi con una crescente sensazione di vuoto e di brusca interruzione.
I quattro nonni li ho avuti fin da bambino. Era normale averli, sempre e per sempre, accanto a me. Mai avrei immaginato di doverli perdere e troppe volte ho rinunciato a parlargli. Nonno Gennaro era il nonno delle caramelle che gli grondavano da una robusta giacca di contadino. Era un abile norcino; mi ha insegnato, privilegio rarissimo rispetto agli altri nipoti ritenuti inadeguati al compito, a confezionare salumi di maiale. Nonna Maria era un’eterna brontolona che invano tentava di sedare le liti e le marachelle di una pletora di cugini scatenati tra la soffitta e la cantina della sua casa in paese. Di nonno Giuseppe ricordo la tosse stizzosa e l’amore per la terra. I suoi gesti esperti nell’intrecciare i tralci di vite sembravano un rituale magico. Con nonna Teresa abbiamo tante volte riannodato il filo della memoria infantile pescando episodi persi nella notte dei ricordi come quando andammo al mulino e perdemmo il controllo del somaro con i sacchi di farina appena macinata.
I miei cari nonni che si stupivano che il loro nipote si spaccasse la testa, frequentando il Liceo Classico, per imparare il Latino senza “dover” diventare prete. I miei cari nonni con la loro paghetta che veniva subito “messa in commercio” ( era frase tipica di nonno Gennaro) tra il calcio balilla e le gassose del bar. I miei cari nonni con i quali non volevo mai dormire di notte poiché russavano come mantici ed avevano accanto letto il vaso smaltato per la pipì. Nonno Giuseppe contadino, non capiva proprio a Pasquetta che sfizio ci fosse a mangiare seduti per terra in campagna quando lui lo faceva tutti i giorni ed avrebbe voluto starsene comodamente seduto a casa. Nonna Maria che amava le sabbiature e noi nipoti che la sommergevamo di sabbia per combattere gli acciacchi dell’età. Nonna Teresa esterrefatta davanti al registratore con il quale ascoltò per la prima volta in vita sua, la sua proprio voce magnetizzata. Nonno Gennaro con due sacchi d’ulive sotto le possenti braccia.
I nonni sono le radici della nostra vita, il fragile ponte tra il nostro passato ed il futuro. I nonni sono importanti ma purtroppo ce ne accorgiamo quando non ci sono più e ci rimangono nel cuore, tra le lacrime, le mille cose che avremmo voluto domandargli , i mille momenti che abbiamo sfuggito e sprecato, le mille parole che non abbiamo ascoltato.
E’ in corso una generale rimozione degli anziani dalla vita economica, sociale, culturale e familiare nella società postmoderna. Il nostro mondo iperproduttivo vuole tutti sani, belli, efficienti. Per tutti gli altri al massimo c’è una casa di riposo o un paravento dove nascondere gli insulti dell’età. Gli anni della vita si allungano, ma la vita sfugge da questi anni sempre più vuoti d’emozioni, progetti, speranze.