Le pecore puzzano, ma cosa sarebbe la vita senza odori? Il presepe ha conquistato il centro del mio salotto. Maria e Giuseppe sono al loro posto con accanto bue ed asino. I pastori accorrono ed anche le pecore non mancano all’appello. Quelle del mio presepe sono di terracotta e non hanno odore. Ma quelle vere puzzano, eccome.
Ci ho pensato alla puzza delle pecore mentre tiravo giù gli scatoloni con dentro i protagonisti della Natività. E mi sono tornate alla mente le parole di Papa Francesco che ha saputo, fin dalle prime battute del suo pontificato, suscitare una ventata di simpatia riguardi della Chiesa Cattolica e della sua persona.
Il pontificato del Papa arrivato dall’altra parte del mondo procede con il vento in poppa ed una frase, rivolta ai sacerdoti appena consacrati, mi ha colpito. “Siate pastori – dice il successore di Pietro – con addosso l’odore delle pecore”. Papa Francesco chiede agli uomini di fede di sapersi profondamente integrare con la gente, la terra, il fardello d’allegria e speranza, dolore e sconforto che accompagna la vita quotidiana. E’ una fatica faticosa è talvolta sgradevole ché l’odore delle pecore non è proprio simile a quello dello Chanel numero 5.
Le pecore puzzano, sono rumorose ed esigenti, si ammalano e tendono a smarrirsi; proprio come gli esseri umani. Ma poi restituiscono con generosità gli sforzi profusi: lana per vestirsi, latte e formaggi per sostenersi, terreni ordinati; e non sempre gli umani sono così riconoscenti. Credo che dobbiamo far tesoro delle parole del Papa. Il futuro dell’umanità passa attraverso la riscoperta di una profonda simbiosi con la natura, una solida interazione con le radici nel passato ma lo sguardo tecnologicamente rivolto al futuro.
E soprattutto senza timori di lasciarsi addosso l’odore sgradevole forse, ma benedetto,che deriva dal lavoro. Non c’è da vergognarsi di questo olfatto distintivo. Non deve vergognarsi chi suda di lavoro, si sporca le mani di terra, progetta e vende servizi e prodotti per semplificare la vita delle persone. Debbono vergognarsi gli speculatori della finanza creativa che con asettici computer spostano miliardi e decidono – per il loro profitto – il futuro del pianeta.