E’ morto il maestro Marcello D’Orta. L’autore di “Io speriamo che me la cavo” è stato stroncato da un tumore a sessant’anni nel pieno della sua attività letteraria. D’Orta ha fatto in tempo anche a descrivere il suo Aldilà : “Il Paradiso me lo immagino come un grande vicolo di Napoli. Però con il mare e pieno di sole”. E senza monnezza.
La scrittura è stato il suo farmaco fino alla fine; nonostante le gravissime condizioni D’Orta scriveva, scriveva, scriveva. Non l’ha aiutato a vincere la battaglia contro il male la cui colpa ha sempre attribuito all’inquinamento di acqua, aria, cibo, ambiente provocato dalla scellerata gestione dei rifiuti. Ma ha dato un senso ai suoi giorni diventati cortissimi dopo la tremenda diagnosi.
La sua morte, mentre divampa la rivolta popolare per la bonifica della Terra dei Fuochi, assume pertanto un significato profondo e profetico. Marcello D’Orta non amava la retorica e non l’ha mai praticata nei suoi scritti. Ha saputo cogliere, partendo dai temi assegnati ai suoi alunni, l’aspetto più genuino e sincero di una comunità raccontata dalle nuove generazioni con tutti i suoi problemi, i suoi limiti, le sue potenzialità. Del maestro, ho sempre apprezzato l’umanità, quel filo d’ironia e di speranza che riusciva a delineare una luce in fondo al tunnel. La convinzione insegnata e testimoniata che lo studio, i libri letti, le ore trascorse a ripetere possano offrire una concreta opportunità di riscatto sociale anche nelle situazioni più drammatiche. Oggi è più difficile credere a questa speranza ed i maestri dopo la morte di Marcello D’Orta sono diventati ancora più rari.