
La pasta rischia l’estinzione. La delizia irrorata dal pomodoro è da tempo nel mirino dei nutrizionisti che l’accusano di esser il nemico principale dei “chiattoni” come me. Il piatto di maccheroni, che adoro come milioni d’italiani, potrebbe esser presto spazzato via dal menù.
I salutisti talebani mi guardano con raccapriccio quando ne inforchetto una generosa porzione temendo che possa tirar le cuoia a tavola imbandita. Ma nonostante le raccomandazione dietistiche io, in buona compagnia di tanti peccatori golosi come me, la pasta continuerò a mangiarla finché sarà possibile. La scelleratezza umana potrebbe infatti privarci del piatto principe della tavola tricolore.
L’allarme arriva dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il frumento duro rappresenta una delle fonti primarie di calorie e proteine per gran parte dell’umanità ma i cambiamenti climatici nella regione mediterranea, area di elezione della specie, pongono problemi per la sua coltivazione, spingendola sempre più a Nord.
La produzione della pasta, uno dei componenti fondamentali della dieta italiana, inserita dall’Unesco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità, rischierebbe così di dipendere sempre più dalle importazioni, con gravi ricadute anche per la nostra economia.
“Il cambiamento climatico sta rendendo l’area del Mediterraneo, dove la specie si è evoluta ed è stata coltivata per 10 mila anni, sempre più inospitale per la coltivazione del frumento che, spinto sempre più a Nord, sperimenterà agenti patogeni e condizioni ambientali differenti”, spiega Domenico Pignone, dell’Istituto di genetica vegetale del Cnr di Bari. “Nel contempo, la gamma di prodotti che si ricavano dal suo raccolto si amplia e il consumo si estende a nuove regioni”.
Secondo Coldiretti, l’Italia resta dipendente dall’estero per circa il 40 per cento del proprio fabbisogno. “L’Italia, un po’ come è avvenuto con la seta, da paese produttore potrebbe diventare totalmente importatore, con pesanti ricadute economiche”, prosegue Pignone. “È necessario mettere a frutto strategie di miglioramento genetico tali da permettere lo sviluppo di un prodotto di qualità, in grado di dare produzioni sostenibili nell’ambito dei nuovi scenari”.
“Il frumento duro, coltivato su più di 500 milioni di ettari in tutto il mondo, è la base della dieta e del reddito agricolo in Europa, America e Australia, ma le malattie e gli stress ambientali continuano a limitare e a degradare la qualità del raccolto”, spiega Emilia Chiancone, presidente dell’Accademia nazionale delle scienze. “Questi ostacoli richiedono continua attenzione da parte della comunità scientifica”.
“I prodotti a base di frumento che mangiamo oggi”, spiega ancora Domenico Pignone, “sono frutto del miglioramento genetico cui il cereale è stato sottoposto, prima in maniera non scientifica dagli agricoltori, poi in modo più rigoroso. Ma ciò ha portato alla perdita di alcuni geni e delle associate caratteristiche che oggi la ricerca ritiene importante recuperare, grazie alle tecnologie avanzate della biologia.
La Scienza ha lanciato il suo allarme. Tocca adesso alla Politica ed ai Cittadini mobilitarsi in modo adeguato. Altro che comitato No TAV o per la difesa del fringuello maculato. Creiamo il comitato Si MAC(cherone) e l’associazione degli Inforchettatori Felici. Salviamo i nostri campi di grano per la delizia del nostro palato.