La crisi provoca la pazzia. La crescente tensione sociale rischia di sfociare in situazioni violente e drammatiche come il ferimento dei Carabinieri davanti a Palazzo Chigi o il suicidio di imprenditori e lavoratori finiti sul lastrico. La perdita del lavoro e del profitto, l’impossibilità di provvedere a sé ed alla propria famiglia possono davvero far uscire di senno, eppure proprio di pazzia abbiamo bisogno per superare una crisi la quale prima che economica è sicuramente etica e sociale.
Una pazzia travolgente che rompa gli schemi della consuetudine, che ribalta la gerarchia tra lavoro e speculazione, creatività e parassitismo, rassegnazione e speranza.
Mi ha aiutato a trovare questo spiraglio un religioso domenicano vissuto nel secolo scorso Padre Labret. Avviato ad una brillante carriere nella Marina Militare Francese comprese che la sua strada era diversa. Indossato l’abito religioso, prima della seconda guerra mondiale, s’impegnò per migliorare le condizioni di vita dei marittimi e cominciò a girare per il mondo con particolare riguardo per l’America Latina. Tentò fino alla morte, avvenuta nel 1966, di coniugare fede ed economia mettendo al centro la persona ed ispirando persino la Populorum Progressio di Paolo VI che rappresenta ancora oggi uno dei più importanti documenti vaticani sullo sviluppo equo e solidale e la compensazione delle ingiustizie planetarie.
Ebbene Padre Labret esortò, molto decenni prima di Steve Jobs, i giovani ad esser pazzi ed a fare della propria vita un capolavoro. Una lezione che viene dal secolo scorso ma merita certamente di esser meditata.
Abbiamo bisogno dei pazzi
Ci sono oggi troppo saggi, troppo prudenti,
indaffarati a calcolare, a misurare.
O Dio! Mandaci dei pazzi (facci conoscere
quelli che ci sono già), gente che si impegnaa fondo, che sa dimenticarsi, giovani che
amino non solo a parole, che si danno
sul serio fino in fondo.
Abbiamo bisogno di pazzi, di gente che
sragiona, di appassionati, di ragazzi capaci
di un salto nell’insicurezza
nell’ignoto sempre più beante
della povertà, che accettino gli
uni di perdersi nella massa anonima
senza alcun desiderio di farsi un
piedistallo, gli altri di non
utilizzare la loro superiorità che
per servire.
Non si tratta sempre di romperla
col proprio ambiente o genere di vita.
Si tratta di una rottura di altra
profondità, rottura con l’io
egocentrico che aveva finora dominato.
Padre Lebret