Sono felicemente tornato ad Istanbul. Ci sono stato per la prima volta nel 1999 e ci torno sempre molto volentieri ché mi piace constatare l’evoluzione urbanistica e sociale di una città. Istanbul è unica al mondo; sospesa tra due continenti. L’Asia e l’Europa si tendono la mano tra le sponde del Bosforo. Un crocevia storico e geografico. Più volte capitale imperiale con latini, bizantini, turchi.
Tutti e ciascuno hanno lasciato un segno, senza peraltro distruggere le altrui radici come a Santa Sofia dove i mosaici cristiani convivono con le incisioni mussulmane auree. Vivere qualche giorno ad Istanbul è un mirabile esempio di come popoli e culture possano convivere pacificamente, anzi arricchendosi reciprocamente. Quando sono in città, non rinuncio mai ad una sosta rigenerante nell’Hammam. Mi piace molto quello che si trova proprio dianzi il Gran Bazar. Il rituale è immutato da secoli.
L’abluzione con ciotole d’acqua fredda, la sauna sudorifera, il vigoroso massaggio con le bolle di sapone, l’asciugatura con sbalzo termico, le lunghe chiacchiere prima di rivestirsi sorseggiando un thè alla menta con pinoli. Il beneficio fisico resta tutto da dimostrare, ma quello psicologico è certo.
Quello dell’Hammam è un tempo ritrovato con al centro il proprio corpo e la propria mente: un lusso che il logorio della vita quotidiana rende sempre meno praticabile. E’ stato bello, con il turbante e l’asciugamano di cotone a scacchi, discutere di tutto: dell’adesione turca all’Unione europea, di crisi economica, di donne nascoste nell’harem di calcio. Maradona è meglio di Pelè, anche a queste latitudini.