Mens sana in corpore sano. Ma i recenti casi di cronaca scaraventano sul banco degli imputati la pratica dello sport professionistico. Vigor Bovolenta, già esponente di spicco della nazionale italiana di pallavolo, è stato stroncato da un infarto durante un match di campionato minore. Il calciatore Fabrice Muamba del Bolton lotta ancora tra la vita e la morte dopo essersi accasciato sul prato verde. La casistica mondiale, da Curi a Porta, è un tragico elenco di giovani vite stroncate nel fiore degli anni e del vigore.
La morte non dovrebbe aver diritto di cittadinanza sui campi sportivi e nelle palestre, ma quando infierisce costringe tutti noi a dolorose riflessioni. E’ mai possibile che atleti di vertice e super controllati possano esser stroncati in modo così brutale e repentino? Si almanaccano spiegazioni variegate ed interessate che per loro natura non possono esser troppo convincenti: l’evoluzione genetica ha reso lo sport più veloce e più intenso; i calendari sono cresciuti a dismisura riducendo i tempi di recupero; gli atleti di vertice sopportano una pressione mediatica preponderante. Tutto giusto e tutto vero! Ma non può bastare a giustificare la perdita di una giovanissima vita.
Dietro queste morti, insieme alla tragica fatalità, si staglia l’ombra malefica di una serie di sospetti sui quali è necessario che le autorità sportive facciano piena chiarezza: i controlli psico-fisici per la pratica agonistica sono stati compiuti con il necessario scrupolo? La preparazione è stata curata nel rispetto delle caratteristiche personali dell’atleta ? I tempi di recupero sono stati calibrati in modo adeguato alle esigenze della persona e non dei calendari televisivi? Il supporto farmacologico è stato somministrato lecitamente o utilizzato come moltiplicatore surrettizio di potenza ed energia ?
Questi quesiti da amante dello sport e della vita mi martellano il cervello. Ed i brutti pensieri affollano la mia testa. E voi cosa ne pensate?