Cos’è stato l’Attico Monina: cinquantatré ore di diretta e un bell’esperimento di Web TV

Attico Monina è la dimostrazione che un risultato importante si può ottenere solo se si lavora di concerto in tanti, uniti a guardare nella stessa direzione


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Cos’è stato l’Attico Monina: cinquantatré ore di diretta e un bell’esperimento di Web TV

Cinquantatré ore di diretta.

Cinquantatré ore di diretta in cinque giorni.

Questo è stato Attico Monina su Optimagazine e sulla neonata OMTv.it.

Cinquantatré ore di diretta in cinque giorni.

E quindi, ovviamente, non solo questo.

Anche oltre settanta artisti che sono transitati dall’Attico. Oltre venti ore di musica in diretta. Non saprei neanche quantificare quante ore di interviste. Sigle con performance di burlesque. Cover in chiave world music delle canzoni dei cantanti in gara. Esibizioni di artisti emergenti come di cantautrici del Festivalino di Anatomia Femminile.

Cinquantatré ore di diretta in cinque giorni. Neanche Mentana al suo meglio, credo, è riuscito in quello che siamo riusciti noi.

E se dico noi non è per una certa giustificata fatica a gestire il mio ego, non lo so gestire e credo che mi paghino anche per lasciarlo libero di pascolare, ma perché Attico Monina, a discapito di un nome che poggia su di me e che su di me, di conseguenza, riversa anche apparentemente i meriti, è in realtà un progetto corale, assolutamente corale.

Non voglio fare quello generoso che condivide con gli altri quello che viene fatto. Non me ne frega nulla di essere politicamente corretto, vi sarà forse capitato di notarlo, o esseri arguti.

Lo faccio perché, nonostante non solo non sia un giornalista ma ritenga i giornalisti andrebbero banditi in blocco dal Festival, o quantomeno andrebbe loro impedito di decidere col loro voto chi vincerà, manica di banderuole incompetenti (quanti avevano decretato la superiorità artistica di Junior Cally e Anastasio al primo ascolto fatto a gennaio, vedi tu, ha prontamente cambiato idea dopo le polemiche, andando a relegare l’uno in fondo alla classifica e l’altro a metà, andando a investire sull’usato sicuro di Diodato, pecoroni), ecco, lo faccio perché, nonostante non solo non sia un giornalista e abbia assai poca stima della categoria, ritengo che le cose vadano sempre raccontate per come stanno. E le cose stanno che Attico Monina è stato un programma corale.

A partire da chi ha condiviso con me la scena, il mio partner in crime Mattia Toccaceli, come me ideatore del format e capace come pochi di gestire una scaletta che cambiava minuto dopo minuto con le classiche modalità sanremesi. Senza di lui io ancora starei lì sul divano bianco coi cuscini griffati OM a capire cosa sta per accadere, e senza le sue trovate e idee le ore di diretta sarebbero state al massimo un paio, giusto il tempo di vedermi sbroccare e mandare tutti a cagare. Ha venti anni meno di me, sicuramente è più assennato di me, ma credo che sia palpabile che davanti allo schermo siamo una coppia di fatto.

Non siamo una coppia di fatto, ma è stata altrettanto fondamentale per il buon esito della riuscita del programma anche Rosa Bulfaro, giunta a Sanremo per accompagnare il gruppo di artisti che ha cresciuto, il Team Mirò composto da Crania, Mileven, Chiarae, Simone Tuccio, Bellitto, Yume e Parker, e catapultata da un minuto al minuto dopo a dover gestire l’afflusso di ospiti, ripeto, circa settanta, tutti con necessità diverse, tutti con richieste diverse. Insomma, messa alle porte dell’Inferno, tipo Caronte. E dire che pensava di essere giunta in riviera per riposarsi un po’, lei che durante l’anno se ne sta a dirigere una scuola di oltre quattrocento alunni di musica e danza, la Mirò Music School di Sedriano. Ma le va assolutamente reso merito di aver accettato al volo la mia proposta di entrare in quel ruolo, dopo che chi doveva svolgerlo ha defezionato notte tempo, facendosi un mazzo tanto e rendendo possibile quello che avete potuto vedere. Santa Rosa subito.

Ma a rendere tecnicamente possibile cinquantatré ore di diretta, ripeto, cinquantatré ore di diretta, oltre che la parte di produzione esecutiva, che come da prassi arriverà in coda, ci hanno pensato dei maghi della regia e della macchina da presa, i The Loops da Napoli. Quattro ragazzi che, ancora mi chiedo come sia stato possibile, hanno lavorato ininterrottamente notte e giorno per rendere possibile l’impossibile, tirando fuori conigli dal cappello, mettendo sul tavolo di gioco immensa professionalità, e regalandoci anche un sacco di leggerezza, che quando si lavora così tanto è un valore aggiunto mica da ridere. The Loops che sono Antonio Natalino, Andrea Balsamo, Stefano Aloschi e Francesco “Franz” Cipolletta. Giganteschi.

Non da meno, e anche loro tirati dentro in corsa, i fonici, al secolo Gianmarco Gabriele e Diego Rossi, che si sono trovati a gestire suoni e strumenti di tutti quelli che hanno transitato dall’Attico Monina suonando e cantando. Non semplici gig voce e chitarra, per capirsi. Anche quelle, ma poi tutta una ridda di strumenti etnici, cajon, lire greche, tamburelli a cornice, batterie, organetti, bassi a cinque corde, chitarre elettriche e acustiche, violini e chi più ne ha più ne metta.

Sto facendo il giro, ricordandomi quel che vedevo da lì, dal divano bianco di Attico Monina, da sinistra a destra, la parte dei fonici, la regia video dei The Loops, la regia video di Rtl 102,5, con Matteo Talamona. Ecco, le dirette serali con Rtl 102,5, NOI DIRE SANREMO, in compagnia di Mara Maionchi, della Gialappa’s, di Laura Ghislandi e Gigio D’Ambrosio e delle due Cecilie, sono state forse le ore più rilassanti del mio Sanremo, e non lo dico per fare il cazzone, quello che si rilassa mentre sta in diretta sul principale network nazionale durante il programma di punta del Festival, vi ho già parlato del mio ego, ma perché almeno lì non eravamo noi a dover gestire il tutto, almeno per cinque o sei ore al giorno. Per la cronaca, se vi siete chiesti perché la sera vestivo eleganti e al tempo stesso stravaganti camicie con papillon, sappiate che la colpa è tutta di Eligo Milano, che ha provato a pensarmi in maniera diversa da quanto non sia normalmente, cioè come mi vedevate di giorno, t-shirt nere brandizzate OptiMagazine che riproponevano le principali copertine della storia del rock. Rock per altro ben rappresentato dalla presenza in scena della Noah Paraffina, la creazione di Lorenzo Palmieri per Ruatti di Noah Guitar che è stata ai tempi di Lou Reed. Un onore poterla avere in loco, come vessillo della musica suonata che così caparbiamente mi ostino a difendere.

Ma alla sinistra dei fonici, alla destra di chi ci guardava, c’era la parte del live. A presidiarla, durante la maratona Attico Monina, Giuliano Gabriele e gli Espresso Do Moon, la sua superband composta da, mettetevi comodi,  Lucia Cremonesi, Eduardo Vessella, Giovanni Aquino, Gianfranco de Lisi e Riccardo Bianchi. Una superband etnica, che ha colorato di colori della nostra tradizione e delle tradizioni di altri posti del mondo, il repertorio di chi a Sanremo era in gara, i cosiddetti BIG. Le loro canzoni hanno inframezzato le chiacchiere, le tante chiacchiere, e dato un ritmo alle puntate. Come un ritmo alle puntate hanno dato gli altri ospiti musicali, a partire dal primo, Sergio Caputo, giunto a noi direttamente dalla Francia, che ci ha regalato un paio di suoi brani, compreso quel Garibaldi Innamorato che, proprio pochi istanti prima, Francesco Gabbani, seduto sul divano bianco, gli aveva detto essere la canzone che più di ogni altra lui identificava col suo imprinting sanremese. Una sorta di carrambata senza Carrà. E oltre Sergio Caputo, grande, anche Valentina Gautier, arrivata con il solo ausilio della chitarra a regalarci emozioni, Antonio Maggio, a Sanremo per regalare la sua La Faccia e il Cuore, insieme a Gessica Notaro, e arrivato da noi mentre stavamo chiacchierando con Luca Barbarossa, altro graditissimo ospite direttamente da Radio Rai 2 e dal suo Social Club. E poi il Geometra Mangoni, giunto per accompagnare alla chitarra Eleviole?, ma che ci ha regalato un paio di suoi brani, e i miei concittadini Via Verdi, arrivati direttamente da Ancona per presentare il loro album The Time Machine e per regalarci non solo il loro nuovo singolo Show Your Face, oltre che i due classiconi Sometimes e Diamond, quantomai pertinenti nel Festival di Radio Deejay, come è stato ribattezzato vista la cospicua presenza di volti scoperti da Cecchetto su quel palco. Della partita anche Federica Camba, che ci è venuta a trovare prima con Marco Masini, insieme all’altro coautore della sua bellissima canzone Il Confronto, Daniele Coro, e al portiere Emiliano Viviano, ex Samp, scherzo che il buon Marco mi ha voluto tirare, ben sapendo il mio amore per il Genoa. E a chiudere Paola Iezzi, arrivata in serata, durante la diretta su Rtl 102,5 per commentare con me il Festival e per presentare il suo singolo LTM, finalmente passato anche da quelle parti.

Ma Attico Monina non ha ospitato solo artisti affermati, o con una loro storia riconoscibile, non è questo lo spirito di questo format né di questo posto, ricordiamolo. Da Attico Monina sono passate tutte le cantautrici del Festivalino di Anatomia Femminile, quest’anno Argento, Eleonora Betti, Chiara Blue, Giorgia Del Mese, Eleviole?, Cinzia Gargano, Glomarì, LAF, Lamine, fresca vincitrice del Premio De Andrè, Lilith Primavera, Giulia Mei, Nathalie, Silvia Oddi, Sara Romano, Sue & Pellagatta, Adel Tirant, Cristiana Verardo, fresca vincitrice del Premio Bianca D’Aponte, Chiara White, Margherita Zanin, Micol Martinez e Lavinia Mancusi, arrivata al seguito degli Espresso Do Moon, e giustamente esibitasi in solitaria. Il cantautorato femminile è da sempre parte del mio immaginario, e dopo la famosa querelle  #LaFigaLaPortoIo della prima  gestione Baglioni/Salzano mi è sembrato giusto lasciare che a parlare fossero le loro canzoni, quest’anno come già l’anno scorso.

Oltre a loro anche altri artisti, come Cecilia Quadrenni, accompagnata da Renato Caruso, gran chitarrista, Labirinto di Eva, i Volosumarte, Tonia Cestari e Eleonora Toscani. Due assoluti esordienti come Murdis e DiBase, arrivati qui sulla scia della Music Academy di Rimini, responsabili della location, presenti con Claudio Caselli, Pakkio Sans e Pool Jr. Discorso a parte merita Anna e L’Appartamento. Anastasia, questo il suo vero nome, mi ha taggato su una storia di IG, con l’hashtag #MoninaSalvaci. La cosa mi ha incuriosito, ci siamo scritti e mi ha raccontato che stava per uscire col suo primo singolo, Plastic Fantastic. L’ho sentito e l’ho subito invitata da noi. A volte le cose possono anche girare bene, è evidente.

Sempre della partita i Lyradanz, al secolo Adriano Sangineto, Caterina Sangineto e Jacopo Venura, il cantautore e zampognaro Giuseppe Spedino Moffa e Federica Santoro, un altro po’ di etnicità dalle parti dell’Attico. A chiudere, last but not least diremmo facessimo ancora le medie, i ragazzi del Team Mirò: Crania, che ci ha regalato Gelato al Limone e Kafka, Mileven, titolare del jingle che ha accompagnato tutte le nostre presigle, estratto dal suo singolo In via Fantasia, Chiarae, che ha eseguito le sue Tungsteno e Itaca, Bellitto, con Ragazza Airbag e una cover voce e chitarra di Purple Rain, Simone Tuccio con Giovane Per Sempre e Monologo e Yume con Parker a trappare NonStop. Ragazzi non solo talentuosissimi, ma anche molto svegli a cogliere lo spirito del programma, sempre disponibili e attenti, sicuramente anche grazie alla guida di Rosa Bulfaro, ripeto, fondamentale per la riuscita del programma.

Esattamente dalla parte opposta dell’Attico, alla mia destra, sinistra per chi guardava, uno degli altri giganteschi punti di forza del format, la gigantesca macchina fotografica di F31. Ensamble fuori dagli schemi, come del resto chiunque abbia lavorato a Attico Monina, gli F31 sono il ritrattista Roberto Prosdocimo e l’alchimista della fotografia Federico Lanzani. Durante tutte le ore di Attico Monina i due, coadiuvati dai ragazzi di Reparto21, che hanno creato tutti i contenuti visivi a supporto del loro progetto, hanno realizzato durante il corso delle giornate ritratti degli ospiti musicali in presa diretta. Ritratti, megaritratti unici, in formato 61×61, impressionando direttamente su supporto fotografico la carta, con una tecnica da loro brevettata, e grazie a una macchina fotografica gigantesca, un cubo di un metro quadro, il tutto con Arri come partner tecnico. Foto che nei prossimi giorni verranno regalate direttamente agli artisti, pezzi unici di valore inestimabile. Un modo incredibile di fermare il tempo. Arte che immortala arte, tanto per rendere unico un evento che già di suo unico è.

By the way, sono passati per Attico Monina i seguenti BIG, ospiti dei BIG e Nuove Proposte in gara, sia lode a loro: Tosca, Marco Masini, Francesco Gabbani, Rancore, Le Vibrazioni, Levante, Paolo Jannacci, Enrirco Nigiotti, Piero Pelù, Rili, Alberto Urso, Irene Grandi, Dardust, La Rappresentante di Lista, Simona Molinari, Gabriella Martinelli e Lula, Matteo Faustini. Mentre La Rappresentante di Lista era presente sul divano hanno anche avuto modo di ascoltare l’esibizione di Margherita Zanin, all’interno del Festivalino di Anatomia Femminile, e hanno iniziato a ragionare insieme di un suo opening ai loro concerti, tanto per dare l’idea di cosa sia realmente quel luogo immaginario.

A introdurre Attico Monina, il programma, il concept, le sigle di Lilith Primavera, con le performance burlesquiane di Giuditta Sin. Tra i brani eseguiti dalle due performer, brani del repertorio della cantautrice romana: Goodbye My Lover, Taboo e Amami. Vedere per credere, ma modo migliore per entrare subito nel clima trasgressivo di Attico Monina non era concepibile. Grazie, ragazze.

Giuditta Sin, del resto, ha anche introdotto l’unica puntata andata in onda di Salior Moon-ina, il nostro personale Dopo Festival che mi vedeva affiancato da Pinuccio di Striscia la Notizia, con ospiti della prima puntata, oltre alla medesima, il giornalista Andrea Gisolfi, il duo Brugole, Margherita Zanin, la stessa Lilith e Francesca di UDKD- Un Discretissimo Karaoke Domenicale, che ci ha illustrato la karaokabilità delle canzoni in gara. Questa parte di Attico Monina ha avuto solo one shot a causa delle lungaggini del Festival di Amadeus, peccato, ci saremmo sicuramente molto divertiti.

A chiudere la squadra Franca e Massimiliano dell’Osteria di Rendola, che hanno coccolato noi e i nostri ospiti per tutta la durata del Festival, deliziandoci con i loro piatti, e viziando chi si trovava a passare di lì, anche grazie al contributo dei dolci del mio amico Giuseppe Sparacello.

Ovviamente, prima di chiudere, non posso che fare quanto solitamente non si fa, cioè tirare in ballo l’editore per cui sto scrivendo da un anno, Optima e Optimagazine, nella persona principalmente di Antonio Pirpan, ma anche di Carlo e Raffaele, per aver creduto in questa pazza idea, per aver assecondato tutte le nostre visioni e per aver realizzato quello che, me lo dico da solo, è stato un piccolo grande miracolo. Cinquantatré ore di diretta televisiva, idee sceniche e di look notevolissime, supporto totale a ogni mia stravaganza, totale sinergia oltre che una potenza produttiva mica da ridere. Il risultato sta ancora lì, visibile.

Ovviamente a breve saprete anche cosa ne farà seguito.

Insomma, una lunga sequela di grazie, partita da Mattia Toccaceli e arrivata a Optima. A dimostrazione che un risultato importante si può ottenere solo se ci si lavora di concerto in tanti, uniti a guardare nella stessa direzione. Poi, è chiaro, se non ci fossi stato io col mio ego ipertrofico e la mia genialità tutto questo non ci sarebbe stato, non siete certo lì a idolatrarmi per caso.

Attico Monina 2020 si chiude qui.

Cinquantatré ore di diretta in cinque giorni.

Sticazzi.

Nei prossimi giorni saprete quale sarà il prossimo step.

Per ora è tutto, amatemi.